domenica 26 ottobre 2014

PAURE, FOBIE & AFFINI



























Con l'intento di partecipare alla presentazione di un libro mi prefiguro il tragitto ottimale per arrivare alla biblioteca che ospita l'evento. Tempo di percorrenza: 35 minuti: la presentazione si tiene nella cittadina dei coltelli, in località sottomonte. Nella mia immaginazione è un luogo potenzialmente misterioso; la città dei coltelli da bambina mi scatenava inquietanti associazioni con la famiglia Addams. La presenza oscura di un monte, non solenne ma sovrastante, ammonisce il visitatore spensierato. La struttura urbanistica è serrata, a rete stretta, l'esposizione solare ridotta, la luce permane meno a lungo tra le case rispetto ai paesi più a valle e sembra ci entri anche di sbieco, riflettendosi velocemente altrove come sugli specchi.
Quando si apre la grande piazza centrale è quasi un colpo, non te l'aspettavi tutto quel decoro di bifore, e quello spazio improvviso ti sconcerta. La cittadina ospita anche un quartiere luogo di memoria e di oscuri presagi. Insomma, nonostante la presentazione del libro tratti un argomento bellissimo - la felicità - e l'autore sia la persona più accogliente e positiva possibile, la scenografia mi sembra un po' scoraggiante, (ma è solo la fantasiosa percezione del mio iceberg sommerso, lo so). 

Ci vado da sola, alcune amiche avevano altri impegni, forse qualcun'altra la troverò già là.
E' alle 20.30 di un fine ottobre, e l'idea mi predispone a un atteggiamento sovraccarico di blindature ridicole: "Meglio dotarsi di abbigliamento caldo, perché è sempre freddo" / "La zona pullula di torrenti dormienti, che si risvegliano quando meno te l'aspetti: è opportuno che mi studi un percorso facilitato" / "Devo attivare dei numeri telefonici in caso di bisogno" / "Ci vorrebbe un mezzo di trasporto adeguato". E qui casca il palco.
La mia auto l'ho portata proprio oggi in revisione dal meccanico e ho a disposizione la vettura modello Paperopoli-111 della mia genitrice. E in ogni caso il mio mezzo ideale non corrisponde ad alcun modello attualmente in commercio.
Il mio mezzo ideale infatti è un'auto maneggevole, corazzata come un Panzer-Division e in grado di risultare impenetrabile, atta a garantire la sopravvivenza in caso di bisogno (assalto baionetta, assetto stradale franoso, fiumana, terremoto, crollo e caduta massi, ubriaco al volante nella corsia opposta).
Certo la mia visione del mondo non è celestiale, si capisce, eppure vado a cercare le cose che mi indispongono. (Ma perché?) 

Attivo sempre dei piani di fuga. A teatro, al cinema, all'ingresso di un ristorante affollato, camminando per la strada. Vedo il mondo insomma come un luogo violento.
Lo so, tutto questo gran movimento di imprevisti è una forma necessaria al processo evolutivo, fa parte della legge universale e si chiama entropia, comunque preferirei non trovarmici in mezzo ma osservare da un punto esterno, o quanto meno essere organizzata. Non mi trovo a mio agio nelle battaglie, non perché non sia in grado di affrontare le situazioni avverse, quanto perché mi infastidisce la loro ciclicità.
La questione è puramente estetica: battagliando non si guadagna alcun punto fermo ma si viene semplicemente proiettati al prossimo bivio. Insomma c'è sempre una svolta che ti aspetta più avanti. Meraviglioso in un certo senso, sfiancante nell'altro. 

E pensare che c'è gente sempre in cerca situazioni estreme per mancanza di adrenalina propria.
Beh, se potessi vendergli la mia a un euro al chilo, a quest'ora sarei una Rockefeller...