domenica 25 agosto 2013

POMPEI RINASCE. (A LONDRA, PERO')

Un conosciuto Ministro dell'Economia e delle Finanze italiano disse un giorno che con la cultura non si mangia.
Una teoria sostenuta ciclicamente da una parte dei nostri politici, che ha favorito la situazione nella quale ci troviamo. E' facile presentare la cultura come una materia per snob privilegiati, basta descriverla come un prodotto che non paga, una attività senza applicazioni pratiche. Solo pochi insubordinati si rifiuteranno di crederci, disubbidendo alle autorità che emettono questi proclami. 


Primo perché la cultura è anche impegno e richiede lunga dedizione. Secondo perché è più facile cedere ai richiami di immediato appagamento: l'automobile nuova invece del diploma, la festa in discoteca al posto della lezione di solfeggio. Beninteso, alcune cose (e anche quelle più stupide) a volte sono divertentissime e si dovrebbero fare senza troppi sensi di colpa. Ma è l'idea del divertimento coatto e artificioso che desta sospetto e mi appare come un risarcimento consolatorio, concesso in cambio di una omologazione verso il basso. 

Questa mentalità porta a trasformare in ordinario ciò che sarebbe l'eccezione. Pompei e la sua unicità, per esempio. Gran parte degli affreschi, mosaici, gioielli e suppellettili rimangono nei magazzini ad accumulare polvere. Ciò che sta fuori dal circuito è sconosciuto ai più e diventa l'ordinarietà invisibile. 


Ma se una minima parte di questi oggetti viene trasferita altrove, al British Museum di Londra per esempio, ecco che si modifica in un evento slegato da qualsiasi problema burocratico, trasformandosi in promotore di merchandising e producendo attività, investimenti, profitti, impiego di
personale amministrativo, tecnico e ausiliario.

Questo a Londra, naturalmente.
In Italia, parte dei reperti inviati non sono neppure mai stati esposti, ma è già noto che qui "con la cultura non si mangia". 



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ERBIVORI, CARNIVORI, ONNIVORI?

Ultimamente si legge e si sente dire di tutto, perciò voglio ritornare su una faccenda molto trattata e vista come una questione prioritaria nella storia dell'umanità. Cioè la trasformazione dei costumi alimentari fin qui adottati dal nostro genere, che da sempre si è conformato alle situazioni e all'ambiente che lo ospita. Quindi bacche, erbe, frutta, pesci, uova, insetti, latte, selvaggina, per arrivare via via a cacciare animali sempre più grandi.
Dico subito che personalmente, sono contraria alla caccia intesa come sport. Uccidere per sopravvivere è una legge spietata della natura, farlo nonostante l'abbondanza di alimenti e con armi sofisticate di precisione, mi sembra una perfidia. Del resto, perché non prendere anche le difese del regno ittico? Il fatto che i pesci non emettano parole di protesta non significa che "chi tace acconsente".

Trovo anche conflittuale suddividere gli animali per categorie al nostro servizio: da guardia, da gioco, da compagnia o come materia edibile a nostro uso e consumo. Intendo dire (a favore di questi ultimi) preferirei vederli vivere la loro vita nei prati e solo alla fine del loro ciclo vitale prendere la via della "commestibilità umana". E qui potrei scatenare le ire degli animalisti/ambientalisti e vegetariani/vegani: "Perché non vivere di soli vegetali, invece?"
Dal punto di vista etico sono d'accordo, la carne destinata al consumo brucia troppe risorse, con le quali si potrebbero sfamare intere popolazioni. Ma non sto parlando di etica, voglio allargare un po' lo sguardo sul meccanismo universale, che non ascolta affatto i nostri problemi ma ha già determinato leggi che si perpetuano nei secoli, alla faccia nostra. Se non ci fossero gazzelle non potremo tenere in vita un ghepardo con due quintali di erba medica. L'animale-uomo invece può adattarsi alle situazioni, eppure la carne lo nutre, inutile essere ipocriti, altrimenti ci saremmo convertiti ai vegetali già da molto tempo. Perché rischiare la vita cacciando bisonti?
La visione autodistruttiva del carnivoro portatore di violenta aggressività che è condannato a sviluppare il cancro, o peggio, squilibri nel pianeta, scusate ma la trovo patetica. La questione è piuttosto quanto si mangia (troppo) e soprattutto quanto si spreca. Ma qui dovremmo spostare il focus su profitti ed interessi generali (e questo riguarda proprio tutto, anche il favoloso mondo Bio).
Quindi penso che la lotta alla fame nel mondo sia l'unico punto ad avere una certa validità nella causa portata avanti dalle associazioni. Non la questione - più romantica che etica - di nutrirsi di lutto col fatto di mangiare animali (che già si mangiano tra di loro da sempre), bensì sulla tutela della loro dignità in vita, questo certamente sì.