sabato 15 marzo 2014

SNOB!



























Non si direbbe che esco fuori da una famiglia di marxisti atipici, per certe cose sono bon tòn come una liceale borghese.
Dev'essere quell'ottavo di sangue blu che mi scorre dentro, anche se decaduto dal 1885.
Fatto sta che ho un trasporto inspiegabile per certe stranezze tipicamente noblesse d'épée, come il tè nero caldo e senza zucchero, le posaterie argento-alpacca, le biblioteche private (meglio se così immense da non poterci uscire), le maisons de campagne con cappella privata tipo quella del mio bisnonno defenestrato dalla famille, il fastidio per le voci squillanti e i rumori, la passione per le altezze più alte possibili (non soffro di vertigini), e per l'allure innato.
Quello stile personale che non c'entra nulla con l'eleganza, gli abiti firmati, i gioielli o la bellezza. Intendo quella caratteristica seduttiva che riesce a farti girare la testa per la strada, anche se la persona appena incrociata è anziana o demodè. L'allure ha molte declinazioni.

Trovo affascinanti:
♦ la polvere sui mobili e sulle scarpe
♦ libri, matite, penne e blocchi-appunti sparsi come se piovesse
♦ frutteti di mele selvatiche
 
vecchi maglioni molto amati, ristretti o coi buchi  
foglie secche a mucchi 
grandissimi disordinati bouquets multicolori  
una sola pietanza al giorno, piccola ma favolosa

Trovo deprimenti:
♣ l'umido in tutte le declinazioni (devo essere stata un gatto) 
♣ cantine, sottoscala e sale termiche
♣ il letto sfatto e ammassato (lo spiano come un tavolo da biliardo)
♣ i calzini coi buchi (li butto appena c'è un velo di trasparenza)
♣ i rammendi! (sono orribili, i buchi hanno più dignità, calzini esclusi)
♣ collezionare bomboniere
♣ il 3x2 e le dispense piene di tutto (#consumare meno#spendere meno#mangiare meno!)
♣ quelli che pagano dietologi e massaggi dimagranti (vale l'# sopra, meglio devolvere la cifra alla mensa della Caritas!)
♣ gli orari fissi per pranzo e cena
♣ le crostate di marmellata
♣ le impostazioni vocali parvenue (preferisco un sano e ruspante accento territoriale) 
♣ oltre 2 vasi di piante in casa
♣ la colf (se proprio è necessario, fissare almeno un giorno per pulire insieme e invitarla a cena ogni tanto).
 

Ho passato i primi dieci anni della mia vita indossando costosi abiti da boutique, eppure dormendo in una cameretta angusta e senza sbocchi diretti all'esterno, infatti la mia finestra dava su un laboratorio buio e polveroso, pieno di attrezzi da artigianato. Stranezze! Le torte di compleanno me le compravano in pasticceria, mia mamma non si è mai cimentata nell'impresa. Natale non si festeggiava proprio: c'era solo un piccolo abete pagano a celebrare la giornata della famiglia, mai visto un presepe. Il regalo arrivava per "Santa Lucia", preannunciato dalla comunicazione ufficiale che tanto Santa Lucia non esiste e chiusa lì la faccenda. Niente fiabe, please, siamo outsider. Nel '61 eravamo l'unica famiglia del rione ad avere telefono, tv, frigo, lavatrice, lavastoviglie, fisarmonica, chitarra, mandolino e mangiadischi (mangiavamo anche molte bistecche a pranzo e cena: i vegani non li avevano ancora disegnati), per casa nostra passavano indistintamente sindacalisti, professori, dirigenti scolastici, operai metalmeccanici e consiglieri comunali, (si accettavano anche preti, purché lasciassero fuori dalla porta ogni tentativo di conversione) per accalorate discussioni politico-culturali che si protraevano fino alle prime ore del mattino. Di questa vita a dir poco pittoresca (ma è solo una parte minima, ce ne sarebbe da dire!) mantengo un dualismo contrapposto. Per esempio una inspiegabile tendenza alla parsimonia, leggi tirchieria, riguardo le spese in genere. Caso singolo della famiglia, non so proprio da chi l'ho ereditata. Come una perfetta regina Elisabetta prendo poco e riciclo tutto, anche le cose smesse delle amiche (che amo particolarmente proprio perché appartenevano a loro), ma con stile. Ci vuole, è vero, un minimo talento cromatico per gli abbinamenti, ma anche quello è un dono di famiglia, per fortuna. 

L'uomo della mia vita dice che sono snob.
Sì, è vero.
Sono terribilmente, intensamente, orrendamente snob. E' innato. Mi piace. Mi fa stare bene.
Quindi, come disse quel gran pezzo di gnocco di Clark Gable a Scarlett O'Hara: Frankly, my dear, I don't give a damn.
Francamente, me ne infischio.