mercoledì 5 marzo 2014

LA GRANDE BELLEZZA



























Tempo fa ho preso a noleggio "La Grande Bellezza": avevo notato il trailer al cinema e deciso che avrebbe meritato la visione. Non soltanto per la probabile candidatura all'Oscar, ma soprattutto per quella provocatoria "armonia del contrasto" che avevo vagamente intuito. 

Una parte sostanziale dell'umano agire che mi è totalmente estranea è quella della trasgressione. Non l'andare oltre in sé (che sperimentato in vera libertà sarebbe esaltante), quanto la supposta "indipendenza morale" che una parte di umanità si convince a esercitare con soddisfazione. La piccola "furbata", ecco. Oppure l'eccesso. La violazione sottobanco. La perversione. La lussuria. La dissolutezza viziosa del potere.
Non considerando che tutto è meccanico, stabilito a priori da qualche forza primaria, ordinario, quindi non soddisfacente.  


La vera trasgressione è annusare l'esca e scansarla.
Farsi di canne e strafogarsi di alcol, sbattersi nelle orge, stordirsi di decibel o rimbambirsi di fondamentalismi - etici o religiosi che siano - equivale a incanalarsi nella strada edulcorata e già predisposta dal sistema di gratificazione cerebrale: quel meccanismo strategico di sopravvivenza fatto di spinte compulsive basilari. (Sa odore di fregatura grandissima). 

Il senso de "La Grande Bellezza", se si riesce a vedere, è questo. La consapevolezza del bluff che si cela nell'atto stesso dell'infrangere. Interpretazione che ho trovato magnifica, quasi nichilistica. Lo stacco abissale fra le dimensioni è vibrante.

Se invece l'unica cosa che salta agli occhi in tutte le riprese è la bagarre di colori e di suoni, allora non si è ancora entrati nella dimensione più corretta, la razionalità qui non aiuta, sarebbe come chiedere alla retina di percepire l'infrarosso, bisogna spostarsi su diverse lunghezze d'onda. 


Non sono molto sicura che l'attribuzione dell'Oscar sia frutto di analisi interpretative. Temo che gli americani abbiano individuato l'unico aspetto che riescono percepire dell'Italia: quello
stereotipato della genialità e dell'eccesso. Però è solo una sfaccettatura. 
Neanche in Italia, comunque, è stato apprezzato da tutti, anzi sono fioccate le critiche sui social network. Al di là che il regista non sia quel gran campione di simpatia, qualcuno ha definito il suo film un mattone e si è addormentato in poltrona.
Peccato.
La purezza sonora di Vladimir Martynov levita sulle magnifiche inquadrature, scorrendo
minimalista e cristallina, in soave opposizione alla nobile decadenza.  
Che dire? Viva l'Italia, l'unica nazione capace di criticare se stessa anche quando vince un Oscar.