domenica 7 luglio 2013

AH, I MORTI NON RESTANO MAI MORTI.

«Aprite le orecchie e loro non smettono mai di cianciare».
 

Se ho in programma di vedere un film, assistere a un concerto, leggere un libro, visitare una città o una mostra, non mi documento affatto. Preferisco non conoscere in anticipo chi sia il regista, l'autore o l'artista leggendo la recensione di un critico. Questo perché non voglio contaminazioni.
Mi faccio cogliere da un breve trailer, un incipit, un'armonia e, se questi toccano le corde giuste, lascio che lavorino su di me. In questo stato limbico mi sono vista "Cloud Atlas". Come per "Inception" (#Christopher Nolan), "Stranger than Fiction" (#Marc Forster) e pochi altri film, alle prime battute ho capito di esserci dentro completamente. Il genere potrebbe non piacere a tutti, non si può sindacare l'insindacabile, ogni opera è l'espressione di una fantasia. Ma la cosa che per me fa da cassa di risonanza è l'abilità di giocare con la fisica quantistica. L'energia non va mai perduta, cambia solo di forma, e qui il collegamento temporale tra passato e presente, i vivi e i morti, il registro linguistico tra le varie generazioni che si intersecano è terribilmente affascinante.
Alcune frasi (che meritano la trascrizione) aprono porte verso concezioni che l'essere umano, io credo, possiede già in sè, ma in forma occulta, perché la consapevolezza comporta molte più responsabilità di una beata ignoranza. Chi non ha mai sperimentato quel fortissimo déjà vu "Sono già stato qui, una vita fa"?
«La vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti. E da ogni crimine e da ogni gentilezza generiamo il nostro futuro». È proprio così, la vita si estende ben oltre i limiti di noi stessi, e le azioni di ognuno provocano effetti a catena.
Consiglio anche questo bel saggio: "La sindrome degli antenati", di Anne Ancelin Schützenberger. Leggendolo, anni fa, ho trovato risposte riscontrabili e sorprendenti.