lunedì 17 novembre 2014

LA FAVOLA CATTIVA.


























«La parola entra in contatto con le persone e assume aspetti diversi. Ognuno riconosce qualcosa di sé, ognuno capisce quel che può o vuole capire». 

Mi piace scrivere, a volte partecipo a qualche premio letterario, piazzandomi tra i finalisti. Questa volta sono arrivata terza, è una bella soddisfazione. Si ricevono complimenti, un premio e un attestato che fanno molto piacere, ma naturalmente non mancano i commenti dall'esterno o le critiche degli esclusi. Qualcuno ha interpretato il mio racconto (questo) come un atto d'accusa nei confronti dell'imprenditoria selvaggia e alcuni ne hanno anche tratto uno spaccato sul futuro dei lavoratori "post articolo 18". Qualcun altro ha travisato il sarcasmo espressivo, scambiandolo per un uso improprio di termini tecnici dovuto - mi hanno spiegato - a sudditanza esterofila.
Né l'una né l'altra ipotesi corrisponde alla mia visione.


Piuttosto il racconto descrive un cambiamento dei costumi, dei metodi e dei rapporti tra il mondo di oggi e quello di trent'anni fa. Non è mia abitudine ancorarmi alle tradizioni, nemmeno quando queste potrebbero garantirmi qualche forma di sicurezza. Sicurezza non ne ho mai avuta nella vita, non ho avuto il privilegio di un lavoro subordinato né di una garanzia allo studio, ma non mi lamento. Non c'è nulla di certo - eccetto la morte - e anche questo fenomeno non conosciamo bene cosa sia, salvo intravedere la rappresentazione della continua trasformazione che ha la vita, il dare/avere che ci chiede continuamente lo stare al mondo. Quindi?


Non c'è alcun conflitto tra quello che dico e il racconto che ho scritto.
Non credo che l'imprenditoria sia la portatrice sana della crisi attuale. Come non credo giusto che un lavoratore subordinato possa godere di maggiori tutele rispetto le altre categorie. Come non credo che la decrescita felice porti un miglioramento nella condizione umana globale, chi lo afferma non ha mai fatto il contadino di mestiere, però può permettersi di acquistare "biologico".
Fino a quando una fiumana non ci sommerge, o un terremoto devasta la città, nessuno si pone il problema di fare una ricerca prima di comprare una casa sul letto di un fiume, o di approvare un appalto al ribasso (verificando almeno in corso d'opera se il cemento è depotenziato). 

Dopo, invece, è molto facile lanciare accuse di raggiro e incompetenza.
Per questo il mio racconto non è un atto di accusa verso questa o quella corporazione, questa o quella area politica, (sarebbe troppo facile). E' invece la presa d'atto di un cambiamento molto più grande, e difficile da accettare. 

Mi piace la libera espressione, non il fanatismo. 
Mi piacciono le regole, ma non l'integralismo ideologico. 
Mi piace l'uguaglianza, ma non l'egalitarismo. 
Infine, come tutti gli esseri viventi, mi piace la stabilità ma questo non difende dai cambiamenti e non garantisce diritti "in aeternum" ad alcuno.  
Per sempre è una definizione scorretta.