mercoledì 2 ottobre 2013

LA SOCIETA' DELLO SCHIAMAZZO

La comunicazione verbale ha alzato i decibel e abbassato il tempo di connessione tra pensiero e parola. 
Educata dal nuovo modello mediatico anche la popolazione fonda i propri rapporti su uno standard sempre più starnazzante. Che si ascolti un talk-show, si chiedano informazioni allo sportello o si scambino quattro amabili chiacchiere con amici o parenti, inevitabilmente ci si ritrova in mezzo a un alterco. Alla base di tutto c'è la volontà di imporre il proprio punto di vista, sempre e comunque, possibilmente alzando la voce e sovrapponendosi a qualcuno che già stava parlando. Non c'è più il desiderio di ascoltare, come se il tempo impiegato per farlo equivalesse a perdere preziosi attimi della vita che abbiamo a disposizione.
Questo vale per ogni area che satelliti e rete web hanno reso universalmente disponibile. A maggior ragione nei social network, dove ognuno si sente in obbligo di dire qualcosa di interessante ed è possibile farlo anche in veste anonima. Se proprio non si possedessero mezzi espressivi adeguati, si possono sempre scaricare e postare quelli prodotti dagli altri (aforismi, video, catene di Sant'Antonio) per ottenere un po' di visibilità. Un fiume di pensierini e frasi fatte, come lo erano i "Cioè" degli anni '70, lo storico "Gratis et amore Dei" degli '80, il consunto "Di tutto di più" o l'intercalare "Tipo" piazzato come il prezzemolo in mezzo alla frase. Fino ad arrivare alle agghiaccianti ambiguità semantiche di un "Piuttosto che" usato come disgiuntivo, che prende così un significato del tutto contrario al reale ma, chissà perché, talmente affascinante (e contagioso come la peste) per gli individui di ogni categoria.