giovedì 1 maggio 2014

BONJOUR TRISTESSE


























«Sono Luca, del gestore telefonico Pinco Pallino, stiamo facendo dei lavori nella vostra via e volevamo proporle...»
«Mi spiace, mi spiace, ho qui delle persone...» Click. 

 
Oddio poteva essere mio figlio, sensi di colpa a mille, ma no dai, è già la quinta telefonata commerciale e non posso farmi carico del mondo
ne ho già tante di rogne, sì però, povero ragazzo ci sarà rimasto male, vabbè, tanto mi avrà sicuramente già mandato a quel paese, il training formativo glielo fanno per qualcosa, e poi, se volesse trovare un lavoro più stabile perché non fare il calzolaio?

Sì, il calzolaio.
L'altro ieri ho comprato un paio di sandali molto belli a un prezzo irrisorio. Appunto, irrisorio: dove li avranno fatti? Chi li avrà cuciti, un ragazzino di otto anni? Vabbè, ora che faccio, li compro o non li compro, siamo in piena apertura dei mercati o no? E allora via, amen, anch'io in coda alla cassa. Salvo poi dover risolvere il problema dei tacchi clik-clak. I tacchi di plastica sono insopportabili (per il ticchettio) e infidi (per le scivolate). Ecco, bisogna aggiungerci il costo per il gommino silenzioso, quanto costerà? L'ultima volta che li ho fatti fare mi hanno chiesto cinque euro. Ma ahimè, quel calzolaio da Premio Geppetto è andato in pensione il mese scorso. Tenterò con quello del centro commerciale. Sbircio le tariffe: 10 euro, il doppio, ma per forza: fra tasse, costi fissi, materiale e tempo... è il suo prezzo. A questo punto sarebbe stato meglio puntare direttamente su un sandalo artigianale, costa un botto ma forse il tacco lo risparmiavo.
Suono il campanello e dal retrobottega si affaccia un giovanotto:
«Solo entro domani, perché poi chiudo!», mi anticipa.
«Chiude anche lei?» Lo guardo: dall'aspetto direi che non arriva ai trent'anni, mica andrà in pensione?
«No, no» mi rassicura, «Vado all'estero. Ho trovato di meglio».
Ecco. Di meglio. Cosa vorrà dire, mi chiedo, sarà un laureato in chimica che si stava adattando a un lavoro manuale o sarà un artigiano stufo di ingrassare i papaveri dello Stato? Nel secondo caso ha tutta la mia comprensione. Nel primo caso torno a pensare al mancato riconoscimento delle qualifiche manuali. Ne ho già parlato, ma secondo me certe categorie andrebbero gratificate con manifestazioni di riconoscenza tangibile: spazzini, colf, badanti, lavandaie, camerieri, braccianti avventizi e tutte quelle categorie snobbate. Dove sarebbe la bellezza della civiltà senza di loro? (Mi metto in mezzo, perché tre di queste professioni le ho esercitate per un bel po' di anni e a giudicare da come vanno le cose penso che tra non molto farò ritorno alla base).
Ma forse la conformazione delle aspirazioni non è neppure il prodotto di una società capitalista, piuttosto è un virus diffuso attraverso il mantra della comunicazione mass-mediale dalla società dei consumi, un cane che si mangia la coda, rimuovere ogni ostacolo per accedere istantaneamente alla gratificazione, un'aspettativa rispetto alla quale ogni deviazione provoca frustrazione. Tutto per tutti, e subito. 


Fatto sta che, appena lasciati in ostaggio i sandali, vengo fermata al parcheggio da un bel giovane dai tratti africani che vende libri, e insiste perché ne compri uno. Per convincermi mi confida di essere neo-laureato in medicina e di sentirsi fortemente imbarazzato a vendere libri per strada, anzi usa queste parole "Mi vergogno".
Io che sono una divoratrice di libri e ne acquisto sempre più di quanti riesca a leggerne, declino gentilmente l'offerta.
Il mondo ti spezza il cuore in ogni modo, questo è sicuro. Ma ci rimango male, vergognarsi di vendere libri mi sembra quasi una blasfemia. La gratificazione immediata è la pericolosa unità di misura di un'umanità sempre più tendenzialmente globale nei fenomeni e sempre meno disposta ad accettare la fatica, la gavetta, il compromesso.
Forse quel futuro medico ha solo sbagliato facoltà. O forse la conoscenza, alla fine, non sempre libera gli uomini.