lunedì 4 novembre 2013

IL LAVORO MANUALE

Mi dà un certo fastidio sentir ripetere continuamente che l'Italia è un mondo di fannulloni e nessun giovane ha più voglia di fare lavori manuali. A parte il fatto che oggi, pur di ottenere qualsiasi lavoro retribuito, si venderebbe l'anima, ma già l'affermazione sottilmente generica "manuale" potrebbe instillare nell'aspirante lavoratore la propensione a cercarsi qualcosa di meno dequalificante.

Secondo la teoria del valore d'uso: "Più un bene diviene scarso rispetto alla domanda, più cresce il suo prezzo sul mercato". E allora, come mai non cresce nulla?
Il fatto è che un lavoro manuale non è riconosciuto per il giusto valore, ed è comunque sempre usurante.
Quindi la soluzione si potrebbe tradurre all'incirca così: date il giusto riconoscimento nella scala sociale ad una professione cosiddetta "manuale" e vedrete finalmente la domanda coperta dall'offerta.

Non sempre, ma il più delle volte chi si lamenta della scarsità di manodopera è proprio qualcuno che gode di una posizione di rilievo e quel tipo di lavoro non l'ha mai fatto, ne lo farebbe mai. Sta di fatto che un mondo di soli notai e avvocati non sopravviverebbe un giorno senza artigiani e operai. Viceversa, invece, probabilmente sì.
Dato che il problema è molto spesso sollevato dai nostri ministri e parlamentari, che propongono ai giovani di scaricare cassette allo scalo-merci come soluzione alla crisi, perché non istituire delle corvées a rotazione partendo proprio dai vertici? Potrebbe essere estremamente illuminante per una nuova classe politica consapevole.
La pratica è assai utile per chi non ne ha esperienza diretta, come del resto è legittimo avere delle aspirazioni, anche se si proviene dalla classe operaia.
Il fatto è che nel terzo millennio affondato dalla crisi, l'abito fa ancora il monaco. Anche il trattamento che si riceve è diverso nel caso ci si presenti come libero professionista o come operaio. 

Chi lo nega è un ipocrita, o non è mai stato operaio.