venerdì 15 novembre 2013

L'IMMORTALITA' NELLA PIZZA

Ieri sera avevo appuntamento con due amiche. Capita che ci si incontri di sfuggita, un tocco di clackson a cavallo di un incrocio o l'agitarsi delle mani sulle scale mobili di un centro commerciale ciao!-ciao! (una va su, l'altra va giù), finché un giorno si decide: Stasera, pizza da "Nicola"! E piove, naturalmente.
Ma di cosa parlano le amiche quando si incontrano in pizzeria? Beh, dipende dalle amiche. Le mie sono distinte in gruppi per affinità elettive: radicalchic, figlie dei fiori, mediasettine, coscritte, biodinamiche, intellettuali, imprenditrici...

Queste di ieri sono le metafisiche empiriche. Tutto e il contrario di tutto, si può spaziare in ogni direzione. L'interfaccia del dialogo è talmente vasta che ci sta pure un accenno all'inversione dei campi magnetici solari e alla scarsità del vento cosmico, il che ci dà da pensare. Affiora l'istinto materno: la nostra stella dovrebbe ruggire e ribollire, che sarà mai questa debolezza energetica? Verrebbe da infilarle un mega-termometro in bocca: "tira fuori una lingua di fuoco e fai aaahhh..."
E' un attimo passare poi al buco nero, alla storia dell'universo e alla tua storia, qui e ora. Sì, per quanto, e dopo? Finite le scosse di pochi milliampere che ti tengono in piedi, che resta della tua memoria cancellata?  

La pizzeria è affollata e i vicini di tavolo allungano le orecchie: dev'essere interessante ascoltare tre agnostiche disquisire se Lourdes e Medjugorje sortiscano o meno un effetto placebo. Nel dubbio, sarebbe un'esperienza da fare. Dal canto mio rassicuro la sala, proclamando che raggiungeremo l'immortalità per semplice trasposizione chimica. Infatti ho stabilito che le mie ceneri vengano deposte in un vaso nel quale far radicare una pianta. E' l'unico modo per continuare a respirare aria, non mi va di starmene cinquant'anni chiusa in un loculo ad aspettare.
Per spiegarmi meglio cito un libro. Ci sono splendidi libri di teologia e testimonianze al riguardo, ma questo libro in particolare ha innestato in me una talea che germoglia, è uno di quei libri che trattano l'inesplicabile in modo che non ne uscirai più, o meglio non ne uscirai più uguale. Sta in cima alla piramide delle mie preferenze, tanto che mi sembra impossibile che si possa vivere senza averlo letto. Alchimia.
E' un libro di Primo Levi, che come si sa è stato un chimico prima ancora di essere scrittore eccelso. Tratta di chimica infatti, ma il titolo (Il sistema periodico) potrebbe trarre in inganno, poiché di immortalità e perenne rinascita si parla, benché nella sua più profonda e razionale origine. Il susseguirsi dei racconti, ognuno dei quali è dedicato a un elemento chimico, descrive episodi meravigliosamente semplici e quotidiani attraverso le cui interazioni sta scritto il nostro avvenire, fino a giungere al capitolo finale, il Carbonio, un capolavoro! Da questo scarto, questo rimasuglio, questa "impurezza" della materia prima della vita, veniamo noi, e solo a questo punto tutti i passaggi indecifrabili della lunga catena dell'immortalità divengono chiari.  

La curiosità delle mie amiche e dei vicini avventori ora s'è destata, e forse anche quella di qualche lettore cybernauta che domani passerà in libreria a comprare Il sistema periodico.
Così è, si può entrare nel ciclo della vita attraverso una pizza.
Un saluto anche a Levi, ovunque egli sia. 

"Ibergekumene tsores iz gut tsu dertseyln".

lunedì 4 novembre 2013

IL LAVORO MANUALE

Mi dà un certo fastidio sentir ripetere continuamente che l'Italia è un mondo di fannulloni e nessun giovane ha più voglia di fare lavori manuali. A parte il fatto che oggi, pur di ottenere qualsiasi lavoro retribuito, si venderebbe l'anima, ma già l'affermazione sottilmente generica "manuale" potrebbe instillare nell'aspirante lavoratore la propensione a cercarsi qualcosa di meno dequalificante.

Secondo la teoria del valore d'uso: "Più un bene diviene scarso rispetto alla domanda, più cresce il suo prezzo sul mercato". E allora, come mai non cresce nulla?
Il fatto è che un lavoro manuale non è riconosciuto per il giusto valore, ed è comunque sempre usurante.
Quindi la soluzione si potrebbe tradurre all'incirca così: date il giusto riconoscimento nella scala sociale ad una professione cosiddetta "manuale" e vedrete finalmente la domanda coperta dall'offerta.

Non sempre, ma il più delle volte chi si lamenta della scarsità di manodopera è proprio qualcuno che gode di una posizione di rilievo e quel tipo di lavoro non l'ha mai fatto, ne lo farebbe mai. Sta di fatto che un mondo di soli notai e avvocati non sopravviverebbe un giorno senza artigiani e operai. Viceversa, invece, probabilmente sì.
Dato che il problema è molto spesso sollevato dai nostri ministri e parlamentari, che propongono ai giovani di scaricare cassette allo scalo-merci come soluzione alla crisi, perché non istituire delle corvées a rotazione partendo proprio dai vertici? Potrebbe essere estremamente illuminante per una nuova classe politica consapevole.
La pratica è assai utile per chi non ne ha esperienza diretta, come del resto è legittimo avere delle aspirazioni, anche se si proviene dalla classe operaia.
Il fatto è che nel terzo millennio affondato dalla crisi, l'abito fa ancora il monaco. Anche il trattamento che si riceve è diverso nel caso ci si presenti come libero professionista o come operaio. 

Chi lo nega è un ipocrita, o non è mai stato operaio.