lunedì 2 dicembre 2013

JE T'AIME MOI NON PLUS

Che bello quando si parla di rappresentare il nuovo che avanza! Poi però appare allo schermo Gianni Cuperlo e mi affiora subito una patologia geriatrica. Per carità, niente da dire sulla persona: elegante, intelligente, modello tradizionale di leadership PD perfetto per muoversi tra gli organismi interni. Ma spento.
Dopo il confronto con Renzi e Civati si è anche un po' lamentato delle scomodità, perché il "trespolo" sul quale li avevano appollaiati quelli di "CieloTv" non era confortevole. Chissà perché mi sono venuti in mente alcuni votanti del PD, operai che per recuperare la paga si arrampicano sopra le gru e ci restano per giorni, mesi, di solito in gennaio.
La parlata sembra quella di Bertinotti, edotto e un po' radical-chic con aspirazioni neo-proletarie, l'atteggiamento invece è molto dalemiano. Cuperlo infatti, sembra il depositario dei valori della sinistra vera. Ma non mi fregano, perché la sinistra vera la conosco bene, anzi me la porto dietro sotto forma epigenetica da generazioni. Conosco i suoi pregi e le sue giustificazioni, compresi gli scheletri nell'armadio.

Poi c'è anche la sinistra putativa, quella emergente di Renzi, maremma buhaiola.
Matteo l'ho votato alle scorse primarie, tra i commenti di chi lo definiva un bamboccio ex DC, e chi invece da destra avrebbe trasmigrato volentieri in un PD rappresentato da lui. Questo naturalmente costituiva la prova della sua impurezza. (Che io sappia, solo la sinistra può temere la contaminazione infettiva dei voti provenienti dall'area opposta).
Non è che io sia particolarmente sensibile alle fascinazioni dei leader carismatici e per quel tipo di malìa, bandierine, magliette, colori, téssere e fazioni. Infatti non è l'allure dell'uomo-Renzi che mi ha colpito, ho solo intravisto la possibilità di uscire da questa politica.
Tra un Bersani vaporizzato in corso d'opera che si guardava la punta delle scarpe sostenendo Dobbiamo trovare una soluzione per il lavoro che non c'è, e un Grillo oramai del levitico che urlava ai suoi coetanei Siete vecchi è spuntato questo trentottenne che di mestiere fa il sindaco, a dire: 'Vogliamo cercare il pelo nell'uovo o cominciamo a fare qualcosa adesso?'
Impensabile da mandar giù per la sinistra ideologica, lui con quello stile sfacciatamente americano. Ma per chi si aspettava un passaggio di consegne tra un apparato che parla solo a se stesso
e chi pensa invece che le buone idee parlano a tutti, ha rappresentato l'ultima spiaggia. E poi nell'aria risuonava ancora l'anatema lanciato da Moretti a Piazza Navona, nel 2002: "Con questi dirigenti non vinceremo mai".

Chi ha detto che è una cosa semplice? Non è una cosa semplice, il nuovo che entra fa paura, peggio del cavallo di Troia. Non è da tutti scendere a compromessi e perorare cause impopolari e decisive. C'è un alto rischio di sporcarsi. 

Non è neppure facile per la sinistra metterla in termini di "felicità" "bellezza" "produttività" (quella è roba di destra, nemica dell'etica). Resta poi il fatto che a sinistra si preferisce perdere; stare all'opposizione è più semplice che scendere a patti col nemico. 
In questo modo si brucia la generazione in grado di produrre nuove idee e un linguaggio diverso, l'unica che abbia il coraggio di rischiare. Perdita dei diritti acquisiti, rottamazioni, taglio dei rami secchi? Che sia! L'ideologia dovrebbe allinearsi alla realtà, prevedendo la possibilità di un piano "B" qualora il piano "A" non dovesse funzionare, senza che la negoziazione con le altre forze politiche corrisponda per forza a una svendita dei principî.
Omnia mutantur, chi ha avuto la propria occasione ha fallito, trovino qualcos'altro da fare. C'è bisogno di persone dinamiche sulle quali investire, meglio ancora se donne, (certe donne di casa tipo mia nonna, che con un semplice pugno di farina trovava il modo di venir fuori da ogni guazzabuglio economico-amministrativo). Ma soprattutto sarebbe utile un turn over costante alle camere e al governo: la politica non è un mestiere a tempo indeterminato. 


Altri miei post sul tema: 
PD in cenere per AUTOCOMBUSTIONE.

venerdì 15 novembre 2013

L'IMMORTALITA' NELLA PIZZA

Ieri sera avevo appuntamento con due amiche. Capita che ci si incontri di sfuggita, un tocco di clackson a cavallo di un incrocio o l'agitarsi delle mani sulle scale mobili di un centro commerciale ciao!-ciao! (una va su, l'altra va giù), finché un giorno si decide: Stasera, pizza da "Nicola"! E piove, naturalmente.
Ma di cosa parlano le amiche quando si incontrano in pizzeria? Beh, dipende dalle amiche. Le mie sono distinte in gruppi per affinità elettive: radicalchic, figlie dei fiori, mediasettine, coscritte, biodinamiche, intellettuali, imprenditrici...

Queste di ieri sono le metafisiche empiriche. Tutto e il contrario di tutto, si può spaziare in ogni direzione. L'interfaccia del dialogo è talmente vasta che ci sta pure un accenno all'inversione dei campi magnetici solari e alla scarsità del vento cosmico, il che ci dà da pensare. Affiora l'istinto materno: la nostra stella dovrebbe ruggire e ribollire, che sarà mai questa debolezza energetica? Verrebbe da infilarle un mega-termometro in bocca: "tira fuori una lingua di fuoco e fai aaahhh..."
E' un attimo passare poi al buco nero, alla storia dell'universo e alla tua storia, qui e ora. Sì, per quanto, e dopo? Finite le scosse di pochi milliampere che ti tengono in piedi, che resta della tua memoria cancellata?  

La pizzeria è affollata e i vicini di tavolo allungano le orecchie: dev'essere interessante ascoltare tre agnostiche disquisire se Lourdes e Medjugorje sortiscano o meno un effetto placebo. Nel dubbio, sarebbe un'esperienza da fare. Dal canto mio rassicuro la sala, proclamando che raggiungeremo l'immortalità per semplice trasposizione chimica. Infatti ho stabilito che le mie ceneri vengano deposte in un vaso nel quale far radicare una pianta. E' l'unico modo per continuare a respirare aria, non mi va di starmene cinquant'anni chiusa in un loculo ad aspettare.
Per spiegarmi meglio cito un libro. Ci sono splendidi libri di teologia e testimonianze al riguardo, ma questo libro in particolare ha innestato in me una talea che germoglia, è uno di quei libri che trattano l'inesplicabile in modo che non ne uscirai più, o meglio non ne uscirai più uguale. Sta in cima alla piramide delle mie preferenze, tanto che mi sembra impossibile che si possa vivere senza averlo letto. Alchimia.
E' un libro di Primo Levi, che come si sa è stato un chimico prima ancora di essere scrittore eccelso. Tratta di chimica infatti, ma il titolo (Il sistema periodico) potrebbe trarre in inganno, poiché di immortalità e perenne rinascita si parla, benché nella sua più profonda e razionale origine. Il susseguirsi dei racconti, ognuno dei quali è dedicato a un elemento chimico, descrive episodi meravigliosamente semplici e quotidiani attraverso le cui interazioni sta scritto il nostro avvenire, fino a giungere al capitolo finale, il Carbonio, un capolavoro! Da questo scarto, questo rimasuglio, questa "impurezza" della materia prima della vita, veniamo noi, e solo a questo punto tutti i passaggi indecifrabili della lunga catena dell'immortalità divengono chiari.  

La curiosità delle mie amiche e dei vicini avventori ora s'è destata, e forse anche quella di qualche lettore cybernauta che domani passerà in libreria a comprare Il sistema periodico.
Così è, si può entrare nel ciclo della vita attraverso una pizza.
Un saluto anche a Levi, ovunque egli sia. 

"Ibergekumene tsores iz gut tsu dertseyln".

lunedì 4 novembre 2013

IL LAVORO MANUALE

Mi dà un certo fastidio sentir ripetere continuamente che l'Italia è un mondo di fannulloni e nessun giovane ha più voglia di fare lavori manuali. A parte il fatto che oggi, pur di ottenere qualsiasi lavoro retribuito, si venderebbe l'anima, ma già l'affermazione sottilmente generica "manuale" potrebbe instillare nell'aspirante lavoratore la propensione a cercarsi qualcosa di meno dequalificante.

Secondo la teoria del valore d'uso: "Più un bene diviene scarso rispetto alla domanda, più cresce il suo prezzo sul mercato". E allora, come mai non cresce nulla?
Il fatto è che un lavoro manuale non è riconosciuto per il giusto valore, ed è comunque sempre usurante.
Quindi la soluzione si potrebbe tradurre all'incirca così: date il giusto riconoscimento nella scala sociale ad una professione cosiddetta "manuale" e vedrete finalmente la domanda coperta dall'offerta.

Non sempre, ma il più delle volte chi si lamenta della scarsità di manodopera è proprio qualcuno che gode di una posizione di rilievo e quel tipo di lavoro non l'ha mai fatto, ne lo farebbe mai. Sta di fatto che un mondo di soli notai e avvocati non sopravviverebbe un giorno senza artigiani e operai. Viceversa, invece, probabilmente sì.
Dato che il problema è molto spesso sollevato dai nostri ministri e parlamentari, che propongono ai giovani di scaricare cassette allo scalo-merci come soluzione alla crisi, perché non istituire delle corvées a rotazione partendo proprio dai vertici? Potrebbe essere estremamente illuminante per una nuova classe politica consapevole.
La pratica è assai utile per chi non ne ha esperienza diretta, come del resto è legittimo avere delle aspirazioni, anche se si proviene dalla classe operaia.
Il fatto è che nel terzo millennio affondato dalla crisi, l'abito fa ancora il monaco. Anche il trattamento che si riceve è diverso nel caso ci si presenti come libero professionista o come operaio. 

Chi lo nega è un ipocrita, o non è mai stato operaio.

domenica 20 ottobre 2013

GLI ALIENI ALL'USCIO

Allertata dalla blanda conversazione di uno speacker radiofonico mentre viaggiavo tranquilla in auto per i fatti miei, ho allungato le orecchie. Stavano parlando di: «Sciami di ortotteri celiferi nella zona di Cantù».
Oddio... l'Italia invasa dai mostri verdi! Il Bel Paese ridotto come l'Asia o l'Africa, a fare i conti con le sterminatrici di raccolti.
La mia ridicola fobia ha immediatamente prodotto quell'effetto "gatto isterico" che va sotto il nome scentifico di Orripilazione del Pelo. Fatti due calcoli veloci (spazio/tempo di percorrenza) ho stimato che intorno al tramonto, sul terrazzo di casa mia, sarebbe scattata l'ora X. Infatti, alle 17 in punto, eccole là corazzate e in assetto da combattimento, gli avamposti scaglionati su tre linee difensive sopra lo stendibiancheria.
Questa volta ho deciso che no, non mi sarei fatta sorprendere dagli istinti. In fin dei conti, non avevo affrontato qualche anno fa un baldo giovane tirolese alto due metri che mi sfidava con una serpe in mano e un sorriso di scherno, pensando che me la sarei data a gambe? A certe provocazioni bisogna rispondere duro: punta nell'orgoglio avevo preso la biscia verdina dalle sue stesse mani (due badili da montagna) e con sguardo altero e sprezzante me l'ero attorcigliata al polso. L'ho conquistato e siamo diventati amici per tutta la vacanza, come Heidi e Peter.

Ora - io dico - c'è un tempo per ogni cosa, quindi sono uscita in veranda a volto scoperto (senza avvolgermi nella rete antizanzare) e brandendo il mio storico bastone da alpeggio, ho iniziato a rotearlo in aria fendendo spioventi sulle piante innocenti e sulla biancheria stesa.
Imprecando inelegantemente, perché il nemico volteggiava tatticamente intorno, sono finalmente riuscita a cacciare gli ALIENI (lasciando il pavimento disseminato di foglie e di preziosi gagliardetti austriaci che erano saltati nella battaglia).
Temo che per questa ignobile esibizione sarò depennata dalla lista dei conoscenti di tutto il vicinato, e pure degli entomologi eventualmente in transito. Del resto, in guerra e in amore tutto è permesso.
Intanto, dalla betulla di fronte, le cavallette mi guardavano sghignazzando, alcune accoppiandosi beffardamente, finché dopo circa tre minuti tutte avevano già ripreso le loro postazioni. Sfinita ho richiuso la zanzariera della porta e chiuso i doppi vetri.
Dicono che la resilienza rappresenti il grado di flessibilità necessario per adottare nuovi comportamenti, una volta appurato che i precedenti non funzionano.
Conoscendomi direi che il mio grado di resistenza, dopo un iniziale exploit di aggressività, tende a negoziare ricercando i punti di accordo in virtù di una comprensione reciproca. Infatti penso che tra non molto io e le cavallette faremo amicizia. È una mera questione di sopravvivenza, anche perché mi dicono che sta per arrivare la terribile Vespa Mandarina dello Shaanxi grande quanto un palmo. E con questa dovrò studiare meglio il linguaggio non verbale...

mercoledì 2 ottobre 2013

LA SOCIETA' DELLO SCHIAMAZZO

La comunicazione verbale ha alzato i decibel e abbassato il tempo di connessione tra pensiero e parola. 
Educata dal nuovo modello mediatico anche la popolazione fonda i propri rapporti su uno standard sempre più starnazzante. Che si ascolti un talk-show, si chiedano informazioni allo sportello o si scambino quattro amabili chiacchiere con amici o parenti, inevitabilmente ci si ritrova in mezzo a un alterco. Alla base di tutto c'è la volontà di imporre il proprio punto di vista, sempre e comunque, possibilmente alzando la voce e sovrapponendosi a qualcuno che già stava parlando. Non c'è più il desiderio di ascoltare, come se il tempo impiegato per farlo equivalesse a perdere preziosi attimi della vita che abbiamo a disposizione.
Questo vale per ogni area che satelliti e rete web hanno reso universalmente disponibile. A maggior ragione nei social network, dove ognuno si sente in obbligo di dire qualcosa di interessante ed è possibile farlo anche in veste anonima. Se proprio non si possedessero mezzi espressivi adeguati, si possono sempre scaricare e postare quelli prodotti dagli altri (aforismi, video, catene di Sant'Antonio) per ottenere un po' di visibilità. Un fiume di pensierini e frasi fatte, come lo erano i "Cioè" degli anni '70, lo storico "Gratis et amore Dei" degli '80, il consunto "Di tutto di più" o l'intercalare "Tipo" piazzato come il prezzemolo in mezzo alla frase. Fino ad arrivare alle agghiaccianti ambiguità semantiche di un "Piuttosto che" usato come disgiuntivo, che prende così un significato del tutto contrario al reale ma, chissà perché, talmente affascinante (e contagioso come la peste) per gli individui di ogni categoria.

domenica 29 settembre 2013

COMMEDIA BARILLA ALL'ITALIANA

Ci siamo. Ecco la solita "italianata".
Gli ingredienti ci sono (quasi) tutti:
 

LA GAFFE
2° LO STRACCIAMENTO DELLE VESTI
3° IL CILICIO
4° LA CALATA DEI FALCHI OPPORTUNISTI.


Appena scoppiata la questione Barilla - da piccola pubblicitaria quale sono - ho imbastito una flow-chart mentale sui possibili sviluppi e sono stata per un po' a godermi lo spettacolo. Speravo di sbagliarmi, ma no, tutto è seguito secondo italico schema.

LA GAFFE

Esiste una massima, secondo la quale "per avere dei nemici è sufficiente dire quello che si pensa". In pubblicità la trasparenza verbale è addirittura catastrofica: la questione è apparire, possibilmente per compiacere il target più esteso possibile. Da questo punto di vista Guido Barilla ha commesso un errore strategico, che si ripercuoterà pesantemente sull'azienda.
 
LO STRACCIAMENTO DELLE VESTI
Dai social-network ai rotocalchi è cominciata una gara a tirare fango. La sinistra contro le ghettizzazioni. I gay con la campagna di boicottaggio anti-Barilla. Le femministe contro l'associazione donna = focolare domestico. Le destre contro la presunta anormalità omosessuale. Tutti, ma proprio tutti, contro la libertà di espressione.

IL CILICIO
Pubbliche scuse di Guido Barilla. Cilicio che indossa come un soldato romano. Si pentirà amaramente di questa défaillance. Non si può certo marchiarlo per ciò che pensa, ha pure affermato di essere a favore dei matrimoni omosessuali, ma ha scelto un format promozionale conforme alla tradizione.

LA CALATA DEI FALCHI OPPORTUNISTI
La cosa più patetica. La convenienza di cogliere il momento propizio per alzare il fatturato, da parte della concorrenza. "Tutte le famiglie sono diverse e a noi piacciono per questo" (Misura). "A casa Buitoni c'è posto per tutti". "Le uniche famiglie che non sono Garofalo, sono quelle che non amano la buona pasta".
Il gruppo Pasta Divella, interpellato, si stacca dalle operazioni di puro marketing, affermando che non azzanna un concorrente in difficoltà. Chapeau. 

Coinvolto perfino Bill De Blasio, candidato sindaco per New York,
la cui moglie (ex lesbica) si è sentita in dovere di farsi fotografare al supermarket con una confezione di pasta concorrente. Non mi stupisco delle esternazioni politiche o commerciali, che da sempre vivono di mercificazioni. Mi stupisco della reazione indignata di quella parte di umanità Gay, persone che stimo e reputo troppo intelligenti, capaci di intuizioni e sensibilità straordinarie e dotate di sagace umorismo per cadermi nella trappola del conformismo, dell'intolleranza e della mancanza di flessibilità, con un boicottaggio coatto sull'acquisto della pasta in questione. Mi sarei aspettata piuttosto una grande festa, a base di fusilli e rigatoni, in nome dell'amore senza confini di genere. E con Guido Barilla come invitato d'onore.

sabato 28 settembre 2013

SOLVITUR AMBULANDO

Avete presente la parabola cristiana "Chiedete e vi sarà dato"?
Non è mai entrata nella nostra casa. Non per mancanza di altruismo, ma per l'esatto contrario. Di certo le bisnonne non conoscevano neppure la filosofia Tolteca, però applicavano alla lettera uno dei suoi principi: se fai un favore non aspettarti ricompense, altrimenti è meglio che tu non lo faccia. E favori ne facevano anche troppi, tutti a fondo perduto. Da noi infatti, andava alla grande quell'altra citazione che veniva applicata in ogni contesto. Perché delegare altri? Sei forse malato, menomato, invalido? "Alzati a cammina!"
Riassumendo: il concept era arrangiarsi, sempre e comunque.
Alzati a cammina infatti, è una citazione che solo a pronunciarla ci restituisce la nostra vera essenza corporea, offre una soluzione ai problemi, predispone alla vita. Ci libera dal tempo speculativo e regala un nuovo spazio temporale, interiore, esteriore. Ci accompagna con un respiro nuovo, leggero e profondo insieme, che ossigena e porta nuova linfa. Ci fa entrare in contatto con la nostra realtà, senza distrazioni mediatiche. Conviene non trovare scuse per non farlo, ma parcheggiare più lontano e recuperare il senso di esistere, quello che non ti fa pensare, ma sentire. Siamo noi il movimento stesso della vita.

mercoledì 11 settembre 2013

UN POST DA PAURA

Tra una settimana ci sarà una di quelle manifestazioni che animano la città di un ritmo cosmopolita. 

Tutto si vestirà di giallo (è il segno distintivo di questa manifestazione) e particolarmente di un giallo-tuorlo-d'uovo. Questo è il simbolo scelto per il 2013. Tutti si chiedono: perché un uovo? E già il fatto che se lo chiedano è un bene, stimola curiosità, muove interessi.
Sono stata incaricata di abbozzare due righe di presentazione - dal mio gruppo - per  descrivere gli interventi che faremo all'interno di questa grande kermesse. Anche noi. Come i grandi autori della letteratura. Questo non può non procurare un po' di strizza, dicasi ansia da prestazione. E infatti - guarda caso - il nostro argomento è da paura.  

Il Dolore.
Uno di quei termini che solo a sentirlo ti tocchi scaramanticamente, o ti segni, se sei molto devoto. Ci chiedevamo: come faremo a parlare di dolore e farci ascoltare? La società tende a non riconoscere questo disagio: è troppo individuale, e noi per primi non ne volevamo sapere. Chiunque vorrebbe scantonare di fronte a queste sollecitazioni. La felicità è completamente in mostra, ma che fine hanno fatto il male, le cose non mostrate, la paura?
Abbiamo cominciato a lavorare, ognuno seguendo il proprio quarto istinto.

Cosa ne sia venuto fuori, non si sa. Non siamo macchine, siamo estremamente soli nel nostro modo di pensare, di reagire. Ma vivere senza paura non significa chiudere gli occhi davanti alla sofferenza, il momento in cui si guarda al di là è già un contatto con nuove paure. Un'esperienza che martella, scava, scolpisce e leviga finché di noi rimanga solo la vera essenza.
Scrivendo di draghi, fate, gambe di legno, pederasti e code mozzate abbiamo riportato le cose nel loro insieme di nascita, vita e morte. Una fatica di fantasmi del passato e spasimi. Ma ne siamo usciti vivi. E il viaggio, fieramente, ci è sembrato meno terribile. 


Orari del nostro intervento: (link) Trattolibero

domenica 25 agosto 2013

POMPEI RINASCE. (A LONDRA, PERO')

Un conosciuto Ministro dell'Economia e delle Finanze italiano disse un giorno che con la cultura non si mangia.
Una teoria sostenuta ciclicamente da una parte dei nostri politici, che ha favorito la situazione nella quale ci troviamo. E' facile presentare la cultura come una materia per snob privilegiati, basta descriverla come un prodotto che non paga, una attività senza applicazioni pratiche. Solo pochi insubordinati si rifiuteranno di crederci, disubbidendo alle autorità che emettono questi proclami. 


Primo perché la cultura è anche impegno e richiede lunga dedizione. Secondo perché è più facile cedere ai richiami di immediato appagamento: l'automobile nuova invece del diploma, la festa in discoteca al posto della lezione di solfeggio. Beninteso, alcune cose (e anche quelle più stupide) a volte sono divertentissime e si dovrebbero fare senza troppi sensi di colpa. Ma è l'idea del divertimento coatto e artificioso che desta sospetto e mi appare come un risarcimento consolatorio, concesso in cambio di una omologazione verso il basso. 

Questa mentalità porta a trasformare in ordinario ciò che sarebbe l'eccezione. Pompei e la sua unicità, per esempio. Gran parte degli affreschi, mosaici, gioielli e suppellettili rimangono nei magazzini ad accumulare polvere. Ciò che sta fuori dal circuito è sconosciuto ai più e diventa l'ordinarietà invisibile. 


Ma se una minima parte di questi oggetti viene trasferita altrove, al British Museum di Londra per esempio, ecco che si modifica in un evento slegato da qualsiasi problema burocratico, trasformandosi in promotore di merchandising e producendo attività, investimenti, profitti, impiego di
personale amministrativo, tecnico e ausiliario.

Questo a Londra, naturalmente.
In Italia, parte dei reperti inviati non sono neppure mai stati esposti, ma è già noto che qui "con la cultura non si mangia". 



(Puoi lasciare qualsiasi commento).

ERBIVORI, CARNIVORI, ONNIVORI?

Ultimamente si legge e si sente dire di tutto, perciò voglio ritornare su una faccenda molto trattata e vista come una questione prioritaria nella storia dell'umanità. Cioè la trasformazione dei costumi alimentari fin qui adottati dal nostro genere, che da sempre si è conformato alle situazioni e all'ambiente che lo ospita. Quindi bacche, erbe, frutta, pesci, uova, insetti, latte, selvaggina, per arrivare via via a cacciare animali sempre più grandi.
Dico subito che personalmente, sono contraria alla caccia intesa come sport. Uccidere per sopravvivere è una legge spietata della natura, farlo nonostante l'abbondanza di alimenti e con armi sofisticate di precisione, mi sembra una perfidia. Del resto, perché non prendere anche le difese del regno ittico? Il fatto che i pesci non emettano parole di protesta non significa che "chi tace acconsente".

Trovo anche conflittuale suddividere gli animali per categorie al nostro servizio: da guardia, da gioco, da compagnia o come materia edibile a nostro uso e consumo. Intendo dire (a favore di questi ultimi) preferirei vederli vivere la loro vita nei prati e solo alla fine del loro ciclo vitale prendere la via della "commestibilità umana". E qui potrei scatenare le ire degli animalisti/ambientalisti e vegetariani/vegani: "Perché non vivere di soli vegetali, invece?"
Dal punto di vista etico sono d'accordo, la carne destinata al consumo brucia troppe risorse, con le quali si potrebbero sfamare intere popolazioni. Ma non sto parlando di etica, voglio allargare un po' lo sguardo sul meccanismo universale, che non ascolta affatto i nostri problemi ma ha già determinato leggi che si perpetuano nei secoli, alla faccia nostra. Se non ci fossero gazzelle non potremo tenere in vita un ghepardo con due quintali di erba medica. L'animale-uomo invece può adattarsi alle situazioni, eppure la carne lo nutre, inutile essere ipocriti, altrimenti ci saremmo convertiti ai vegetali già da molto tempo. Perché rischiare la vita cacciando bisonti?
La visione autodistruttiva del carnivoro portatore di violenta aggressività che è condannato a sviluppare il cancro, o peggio, squilibri nel pianeta, scusate ma la trovo patetica. La questione è piuttosto quanto si mangia (troppo) e soprattutto quanto si spreca. Ma qui dovremmo spostare il focus su profitti ed interessi generali (e questo riguarda proprio tutto, anche il favoloso mondo Bio).
Quindi penso che la lotta alla fame nel mondo sia l'unico punto ad avere una certa validità nella causa portata avanti dalle associazioni. Non la questione - più romantica che etica - di nutrirsi di lutto col fatto di mangiare animali (che già si mangiano tra di loro da sempre), bensì sulla tutela della loro dignità in vita, questo certamente sì.

lunedì 19 agosto 2013

I CERCATORI D'ORO

Si inaugura proprio oggi una manifestazione che mi riporta alla memoria certi episodi del mitico Paperone, impegnato nella Corsa all'oro del Klondike. 
Mi sembrava quasi impossibile, allora, che fosse così facile scovare tra i sassi il prezioso metallo, ma ancor più mi divertivano le vicende che scaturivano dall'accaparrarsi i diritti per la vena aurifera. 
Beh, per chi volesse cimentarsi, in questi tempi di vacche magre da oggi fino al 25 agosto, a Mongrado nella Riserva naturale della Bressa in provincia di Biella, arriveranno da tutto il mondo quegli antichi personaggi, un po' Indiana Jones un po' Montecristo che si sfideranno alla ricerca delle pepite, in una antica miniera d'oro romana del II secolo a.C. 
Penso ci sarà un gran afflusso di nuovi iscritti e quasi quasi, un pensierino mi verrebbe... 
A tutti i partecipanti: Buona fortuna. 

sabato 17 agosto 2013

LA FINZIONE NON VENDE.

Chi lavora o ha a che fare con l'ambiente pubblicitario lo sa: la richiesta di emozionare il consumatore/spettatore è una costante. C'è sempre stata l'esigenza di dare visibilità ai prodotti, ma negli ultimi anni la ricerca sensoriale-emotiva ha raggiunto livelli stucchevoli. Sempre per estremi opposti: diffondere il solito refrain popular-sexual, oppure una melensaggine che sfiora il ridicolo.
Il ristoratore chiede evocazioni multisensoriali che irrompano come pulsioni irresistibili dalle profondità descrittive di un Menu fino all'amigdala del cliente.
Il rivenditore di aspira-tutto ambisce a rigenerare l'acquirente nel corpo e nello spirito, polverizzando e liofilizzando il tanfo della frittura di totani appena servita
mediante una nebulizzazione di particelle aeree subliminali che rendano l'ambiente domestico pari a quello di una spa. 
Il materasso è un prodotto della Nasa contenente materia oscura che copre tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma, con benefici antigravitazionali sulla palpebra cadente.
Questa è l'emozione che si cerca?
Personalmente mi emoziona l'armonia della semplicità. Il bombardamento del "mai visto" è privo di efficacia, se ti impedisce di vedere l'essenziale. E spesso non ricordi neppure il Brand mandatario. Abbiamo perso molte cose, ricercando l'odioso "di tutto, di più".  Abbiamo smarrito l'accettazione del limite, che riesce a togliere di mezzo l'ansia senza farti chiudere gli occhi davanti all'inevitabile.
Ci sono vetrine che si svuotano ogni giorno, di cose che probabilmente non ci servivano e credevamo indispensabili. Anche per la pubblicità è suonata l'ora. Che ritorni alla sua vera essenza: far conoscere le reali qualità di un prodotto, non l'effimero inesistente. Ci penserà il consumatore a fare le sue comparazioni: ha una testa per pensare, ce l'ha sempre avuta, anche se hanno cercato di fargli credere il contrario. Questa è la vera concorrenza. 

giovedì 8 agosto 2013

LE QUATORZE JUILLET, FÊTE NATIONALE!

Per onorare il mio trisavolo francese, monsieur Rassat, ho deciso di condividere i festeggiamenti del 14 luglio con i cugini d'oltralpe. Parbleu! Il fatto di avere un sedicesimo di sangue francese è una scoperta! Nessuno in famiglia si era curato di scoprire perché mai non ci fossero Rassat negli elenchi, convinti che tale cognome avesse un'origine assolutamente friulana. Potenza del web, basta digitare "surname origin" per trovare tutti gli ascendenti in linea diretta, collaterale e trasversale. Dopo vari tentativi in inglese, tedesco e perfino ungherese, la sorpesa è arrivata digitando "Nom de famille". Et voilà: di Rassat è piena la Francia. Una specie di Mario Rossi in Italia, o di John Smith in America.
Con questo nuovo tassello nel mio pedigree, me ne andrò tra la folla festosa lungo gli Champs Elysees per assistere alla parata, magari con una coccarda tricolore bianco/rosso/blu, sempre orgogliosa della mia italianità, ma con una certa soddisfazione per aver contribuito remotamente a sancire la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" e a smantellare l'ancien regime.
Allons enfants! 


(Puoi lasciare qualsiasi commento).

domenica 7 luglio 2013

AH, I MORTI NON RESTANO MAI MORTI.

«Aprite le orecchie e loro non smettono mai di cianciare».
 

Se ho in programma di vedere un film, assistere a un concerto, leggere un libro, visitare una città o una mostra, non mi documento affatto. Preferisco non conoscere in anticipo chi sia il regista, l'autore o l'artista leggendo la recensione di un critico. Questo perché non voglio contaminazioni.
Mi faccio cogliere da un breve trailer, un incipit, un'armonia e, se questi toccano le corde giuste, lascio che lavorino su di me. In questo stato limbico mi sono vista "Cloud Atlas". Come per "Inception" (#Christopher Nolan), "Stranger than Fiction" (#Marc Forster) e pochi altri film, alle prime battute ho capito di esserci dentro completamente. Il genere potrebbe non piacere a tutti, non si può sindacare l'insindacabile, ogni opera è l'espressione di una fantasia. Ma la cosa che per me fa da cassa di risonanza è l'abilità di giocare con la fisica quantistica. L'energia non va mai perduta, cambia solo di forma, e qui il collegamento temporale tra passato e presente, i vivi e i morti, il registro linguistico tra le varie generazioni che si intersecano è terribilmente affascinante.
Alcune frasi (che meritano la trascrizione) aprono porte verso concezioni che l'essere umano, io credo, possiede già in sè, ma in forma occulta, perché la consapevolezza comporta molte più responsabilità di una beata ignoranza. Chi non ha mai sperimentato quel fortissimo déjà vu "Sono già stato qui, una vita fa"?
«La vita non è nostra. Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti. E da ogni crimine e da ogni gentilezza generiamo il nostro futuro». È proprio così, la vita si estende ben oltre i limiti di noi stessi, e le azioni di ognuno provocano effetti a catena.
Consiglio anche questo bel saggio: "La sindrome degli antenati", di Anne Ancelin Schützenberger. Leggendolo, anni fa, ho trovato risposte riscontrabili e sorprendenti.

lunedì 1 luglio 2013

I BACKSTAGE DELLA VITA. Cose che non farò mai (più).

Quello che veramente sei, si svela solo dietro le quinte.
Prende forma poco prima dell'adolescenza, quando stai brancolando alla ricerca di approvazione, un cenno lusinghiero, una voce sicura che ti indichi il percorso in perenne e incerta attesa, e in quell'attesa si formano i sogni, timidi o sbandierati ai quattro venti, molti dei quali non si realizzeranno mai. Servono a poco i guru del pensiero positivo. La vita è un'alternanza tra il bene e il male e le modalità di partecipazione non sono le stesse per tutti.
Autolesionismo? Macché. E' la giusta dose di realismo (e sana ironia) che porta alla quadratura del cerchio. Quando ero bambina avevo due chiodi fissi: diventare l'alter-ego di Anna Frank e scrivere editoriali per una testata giornalistica, oppure partire senza ritorno verso lo spazio siderale, alla scoperta dell'ignoto a bordo di una navicella - io, me stessa e me - finché morte non ci separi. Entrambe le ipotesi procuravano un attacco apoplettico a mia madre, la quale si chiedeva cosa non avesse funzionato nel suo apparato riproduttivo.
Strada facendo, si aggiungevano altre opportunità di fama e di gloria che andavano via via ridimensionandosi, presto sostituite da nuove e più entusiasmanti prodezze. Non ho ancora finito di lavorare a questa costruzione dietro le quinte, anche se, arrivata a un certo punto dell'esistenza, divento consapevole che il tempo prende l'aspetto di una clessidra e lo spettacolo pirotecnico non ci sarà mai. E poiché la fila dei partecipanti alle selezioni degli illusi si ingrossa minuto per minuto, tanto vale ammettere che:
1. Non svilupperò mai una proteina strutturale che mi renda capace di leggere il pensiero e tradurlo in ologrammi visivi per screditare pubblicamente i mentitori di ogni categoria.
2. Non prenderò mai una tessera di partito per diventare candidato leader (e so che mio nonno marxista non mi perdonerà per questo).
3. Non canterò "Se telefonando" di Mina in un Karaoche, facendomi notare dal talent scout di "The X Factor UK".
4. Non mi trasferirò in Giappone per diventare maestra di 'ōtachi e nodachi convivendo con una gatta di nome Shiseido.
5. Non salirò in Tibet per scambiare erbe, riso e meditazioni con il Dalai Lama.
6. Anche perché non riuscirò a imparare correntemente il tibetano, nè altre sette lingue tra cui il cinese e l'arabo.
7. Non riuscirò a vivere nella steppa con un branco di lupi che mi riconoscano un qualche fattore alpha.
8. Non vincerò il Nobel per la letteratura, ma neppure un Premio Bancarella.
9. Non riuscirò a camminare nei fondali marini respirando plancton.
10.
Anche se dotata di una fantasia audace, non diventerò mai Highlander.
Per tutte queste mancanze non mi deprimerò in alcun modo, consapevole che la parte sostanziale della vita accade fuori dal palcoscenico dell'effimero ed è fatta progressivamente di scelte: A o B, Bianco o Nero, Si o No. Quindi, alla terribile domanda "Che fine ho fatto?" potrò sinceramente assolvermi con un: "Faccio la mia parte", e vivere normalmente felice. 



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domenica 23 giugno 2013

ITALIAN STYLE: LE DUE FACCE

Sono ferma davanti allo scaffale. "Prendo? Non prendo?"
Potenza ansiogena dell'informazione. Dieci, quindici anni fa non avrei avuto tutta questa responsabilità. "Il pesce sarà contaminato dal piombo? L'abbattimento anti-larva l'avranno eseguito a dovere? La mozzarella sarà blu? O l'avranno fatta con cagliata surgelata della Bulgaria, magari? E con il botulino, come la mettiamo? Quasi quasi salto il pranzo, tanto #Umberto Veronesi ha detto che il digiuno fa bene".
Sono arrivata perfino a diffidare di me. Le ciliegie che ho preparato sotto grappa le ho portate in analisi dalla mia amica Tiziana, esperta e fidatissima in materia di conserve. Le chiesto: "Annusa tu, dimmi se sono buone. Ah, ci ho messo anche un cucchiaino di zucchero sei mesi fa... avrà alterato la gradazione? Attenta ad aprire il barattolo!" Mi ha guardato con la dovuta commiserazione: "Perché, esplode?"

Non sono proprio un modello rappresentativo della società rurale italiana, è una malattia di famiglia, noi siamo peggio degli inglesi. Se mia sorella portava a casa un pulcino e diventava una gallina, nessuno pensava di mangiarsela: le davamo un nome e girava col gatto di casa. Mia cugina, addirittura, si è presentata dal veterinario col gallo malato in braccio. La diagnosi è stata drastica: brodo.

L'altra sera ho visto un reportage che riguarda un pezzo d'Italia dalla bellezza abbagliante: il Cilento. Come sempre vengono messi in rilievo i tratti negativi di quel territorio (sì, ce ne sono abbastanza), ma è talmente sistematica la cosa, che l'indignazione prende la piega dell'indifferenza. Si parla di un terreno ridotto ad essere una stratificazione di rifiuti tossici, un olocausto ambientale di smaltimento illegale... tutto questo a un passo da quella meraviglia che è Paestum. Mi sento però di fare l'avvocato del diavolo: 
il Nord Italia può davvero puntare il dito? I rifiuti smaltiti in Campania partono da qui. Ma la verdura dei nostri supermarket proviene anche da quei territori: entra dalla finestra quello che abbiamo appena buttato fuori dalla porta. Certo, esiste al sud una piaga biblica di inerzia e complicità, quella rassegnata indolenza che ha nutrito i parassiti della criminalità e di chi ha ruoli istituzionali. Ma per uno che vende, c'è sempre uno che compra. 
E quassù... tutti santi? Macché, la mentalità del furbo contagia presto, 26 indagati anche a Nord Est: vendevano tranquillamente latte contaminato da aflatossina mescolandolo con latte sano. E per rifinire l'opera il trasportatore truffava i truffatori, prelevando due terzi di latte per rivenderlo ad altri e annacquando il rimanente. D'accordo, sono casi isolati, perché se non lo fossero, che fine farebbero le tradizioni alimentari che ci contraddistinguono? I cinesi potrebbero fare un Parmigiano con il latte di capre asiatiche. Gli americani è da un po' che cercano di imitarlo, ma si illudono... il sapore è lontano anni luce dall'originale. 

Voglio dire: le cose migliori che abbiamo, teniamole come gioielli preziosi. Non c'è paese al mondo dove trovare una varietà di paesaggio, di cultura, di sapori, di ospitalità come l'Italia. Se impariamo a rifiutare la falsa bellezza in nome del facile guadagno, noi stessi (e l'intero Paese) ne guadagnerà. 


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venerdì 14 giugno 2013

OHIBÒ, È CROLLATO IL SAN MARCO.

Una brutta mattina il signor Marangon sentirà un CRASH sospetto provenire dal Canal Grande. Saltando giù dal letto e affacciandosi dal poggiolo vedrà, con gran sorpresa, la quadriga dei cavalli del San Marco infilati sulla prua di una nave da crociera, come una Polena sulla cresta dell'onda...
"Ostrega, Maria!" dirà sconcertato "Vièn, vièn a vardàre: i gà verto el San Marco!" *(Perbacco Maria, vieni a vedere: hanno distrutto la Basilica!) E non riuscirà ad aggiungere altro, perché subito dopo una, due, tre troupe televisive si caleranno in elicottero fermandosi all'altezza delle sue mutande, per assicurarsi lo scoop di un'intervista in tempo reale.
Gli Arcivescovi di Aquileia si gireranno nella tomba, pensando che si stava più tranquilli quando Attila e gli Unni calavano dalle Alpi fino in laguna. E anche mia nonna veneziana imprecherà dalla sua, di tomba, confermando che "Xè màssa zènte foresta!" *(Ci sono troppi turisti). 


Arriverà il ministro di turno, affermando che si era detto, si era fatto, discusso e parlato non più tardi di ieri sera e i fascicoli erano proprio là, pronti per le firme, sopra la sua scrivania.
Al sindaco verrà un colpo: i debiti per il riassetto del ponte Calatrava, con tutti gli annessi e connessi, gli sembreranno d'un tratto noccioline.

"Nulla è più permanente del transitorio", disse una volta De Gaulle ai connazionali, ma in questa specialità non ci batte nessuno. Non è il caso di muoversi? Venezia non si può vendere come un gadget per turisti. Basta un attimo perché accada il disastro e il mostro galleggiante distrugga il meraviglioso patrimonio dell'umanità. Non è fantascienza, è accaduto a Genova solo un mese fa.


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giovedì 13 giugno 2013

SA COIFFURE MAIS MON DIEU !

Stamattina parlerò di ansia. Non di quella che solitamente si prova prima di un esame o di una visita medica. Ho l'ansia da parrucchiere. Una cosa ridicola. Mi prende ogni volta che ci "devo" andare. In verità il parrucchiere lo vedo due volte l'anno. E già a pensarci mi viene quel sottile senso di disagio da perdita di tempo. Non riesco proprio a godermi i piaceri della vita, è un dato di fatto, ho la sindrome da attivismo cronico. Ed è anche un attivismo di tipo occulto, nel senso che invece, sembro un bradipo. Ma un bradipo attivo. Non sono certo un esponente della categoria multitasking, no. No di certo. Ma dell'iper-attivismo-mentale-organizzato, quello è sicuro. Il 90% del mio lavoro concettuale è di tipo preventivo: metto in fila una lista di ipotesi e valuto i possibili risvolti inaspettati per tutte le situazioni immaginabili, procedendo per esclusione, finché non devo più scegliere nulla, perché è rimasta una sola risposta. A quel punto, fine dei rimorsi e dei rimpianti: ho già escluso tutte le soluzioni difettose.
Che c'entra questo col parrucchiere? C'entra.
Il parrucchiere è la variabile "X". Entri nel suo Salone in un modo e non sai mai come ne esci. Ognuno ha un'unità di misura propria. Ogni centimetro di capelli che taglierà potrebbe variare da mm. 5 a 55, secondo la scuola di pensiero. Spesso il risultato non dipende neppure dal parrucchiere vero, ma dal suo avatar, quello che risiede nella testa di ogni donna e le fa credere di avere il capello riccio di Afef, invece di un pacchetto di vermicelli Barilla N. 7
In genere poi ne esco bene, ma convinta che mai potrei fare questo mestiere rischioso e pieno di incognite. Un riconoscimento honoris causa alla categoria sarebbe comunque meritato.

lunedì 10 giugno 2013

MATURITÀ, LINEA DI CONFINE

Qualcuno è tondo e piccoletto, jeans sbracalati e sorriso gaudente. 
Occhi vispi e zaino sbilenco. Un saltello ogni quattro falcate, per stare al passo. Un altro è secco, lungo, con testa piriforme e braccia ciondolanti. Occhi bassi e timpani all'ascolto. 
Li sorpassa una charmante. Anzi, di solito le muse sono in tre. Chiome fluenti, tintinnìo di charms al polso e sguardo algido elevato a potenza: sfilano come in passerella e già conoscono quale sarà il loro posto sulla spiaggia del mondo. Sicuramente al sole, abbronzatura UVA e tankini griffato.
Sciamano a ondate tra un vociare diffuso e li riconosci uno a uno. 

Il timido, il leader, la complessata senza motivo, oppure - all'opposto - l'imperfetta con autostima stellare. Nerd, secchioni/e, signorine grandifirme, campioni sportivi over the top appaiati con reginette di bellezza e poi, defilati e all'esterno dei ranghi, i nebbiosi rappresentanti delle retrovie. Ora più che mai, con la chiusura degli istituti e la maturità dietro l'angolo, tutti insieme fanno quadrato.  
Sono le ultime generazioni ma assomigliano alle precedenti, ai nastri di partenza. Come allora la scuola li unisce in identità compatte, amicizie indissolubili, antipatie invalicabili. Poi diventeranno grandi, cambieranno casa e forse città, avranno la misura dei loro passi, destini sfilacciati a volte appaiati e ricomposti. Dovranno mettere in pari i conti con il passato, il presente e il futuro, e i conti non torneranno quasi mai. La spensierata entropìa che li accompagnava come segno distintivo della giovinezza diventerà una guerra costante, dove lo stato caotico sarà sbacchettato perchè tutto rientri nell'ordine richiesto dal vivere umano, ordine che però non esiste e non è di questo mondo. 
Benvenuti a bordo, cari ragazzi
Tenete stretti i sogni, non fateli ingoiare dal sistema. 

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giovedì 6 giugno 2013

LA POLITICA MASTERCHEF

Circondati su tre lati dal mare, con un territorio disseminato di laghi, colli, vette e pianure lungo mille chilometri, l'Italia e gli italiani non potevano che essere dei poliedrici per antonomàsia. Sanno fare di tutto, parlare di tutto e all'occorrenza, saltare di palo in frasca con abilità funambolica
Stamattina, durante uno scambio di opinioni tra esponenti politici locali e radioascoltatori, l'argomento della discussione è magistralmente mutato, virando dal tema risolutivo per il debito pubblico a quello alternativo per un pesto al battuto di rucola. Se mi chiedete di ricordare quale sia stato il motivo della rotazione assiale, non ve lo so dire: tale era la fascinazione per la capacità di  trasformismo, che mi sono trovata ignara nel punto di non ritorno.
Una volta a casa, ho voluto subito mettere in atto questa nuova ricetta strategica, anche se la lista degli ingredienti era stata fornita
all'italiana, senza specificarne le quantità. (Ci perdoni la cancelliera Merkel). Comunque avevamo il metodo: miscelare pinoli, rucola, Parmigiano, sale e olio extravergine e frullare tutto nel mixer (chiediamo venia anche al patron di #Slow Food, #Carlo Petrini, che avrebbe suggerito il mortaio di marmo col pestello di legno), quindi sbollentare un mazzetto di asparagi verdi in abbondante acqua salata e infine cuocere gli ziti, o i bucatini, nel liquido di cottura degli asparagi. Scolare al dente, mescolare la pasta con il pesto, spadellarla al fuoco quel tanto che basta ad amalgamare il tutto e servire caldo. Risultato?
Beh, mettendo in luce le risorse del Bel Paese, pur mancando le dosi precise la ricetta si è rivelata una vera specialità. 

Cosa fare poi degli asparagi precedentemente bolliti? Che ne so, fate voi! Come per tutte le spese inutili dello Stato, anche questo non è stato detto, ma da italiana doc ho prontamente gestito l'emergenza, sfrittellando un paio d'uova come accompagnamento. È meglio 'na bona pezza ca nu brutto pertuso. Uè, uè, paisà'! 

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SE L'ABITO NON FA IL MONACO

In alcune persone molto devote, l'immagine di Gesù nella veste di rivoluzionario (Post precedente) ha destato sconcerto. È sembrata un'immagine irrispettosa, quando non dissacrante.
Ho una considerazione molto alta dell'esempio cristiano, diversamente da quello cattolico che opera talvolta per vie traverse e sotterranee. Credo che Gesù abbia rivestito più di qualsiasi altro la figura del rivoluzionario, con un pensiero dichiaratamente controcorrente e lontano da ogni forma di corruzione, interesse, opportunismo sia passato che presente.
Spesso lo sguardo moralista dimentica che anche un candido santino appare come una rappresentazione di idolatria e di paganesimo, alle correnti religiose rigorosamente aniconiche.
Questo accade perché tutto quello che si discosta dall'esempio di educazione ricevuta provoca allarmismo, come ho già accennato a proposito delle rassicuranti abitudini.
Anche la figura di #Don Gallo, ampiamente celebrato dopo la scomparsa, con la sua dichiarata vicinanza alle forme più equivoche dell'emarginazione è stato una presenza molto scomoda agli occhi delle gerarchie ecclesiastiche. Eppure seguiva l'esempio rivoluzionario del Cristo. 

Quell'immagine rivoluzionaria, dunque, è un'opera di creazione non offensiva, perché esprime una visione popolare e sociale ed è quindi una libera espressione di vedute e di sentimento. 

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domenica 2 giugno 2013

DIO E' COMUNISTA?

"Qualunque cosa esca da là dentro... restiamo uniti". 
Ho ascoltato Jacopo Fo enunciare durante il funerale di Franca Rame - attrice e donna straordinaria - "Dio è comunista" e non contento ha aggiunto: "E anche femmina".
Che bello, ho pensato, aveva ragione mio padre a prepararmi nei riassunti sul marxismo e sulla repubblica popolare cinese sin dall'età di otto anni! (link). Equità sociale per tutti insomma, giustizia e solidarietà per gli oppressi, finalmente!
Poi ho fatto una riflessione veloce e l'euforia è sbollita alla velocità della luce: Dio femmina? Masochista però. Come la mettiamo con "partorirai con dolore?" Fino a prova contraria, anzi con la conferma scientifica di un amico medico primario, alla base del parto ci sta proprio il dolore, senza il quale il parto non avviene perché, mi spiegava il luminare, è solo in conseguenza dell'impulso doloroso che l'ossitocina viene rilasciata e si avviano le contrazioni. Ergo: senza il dolore nisba, il parto non parte e la sorpresa rimane nell'uovo. 
Secondo punto cruciale: perché un dio donna avrebbe scelto di crearsi così vulnerabile, violabile, costituzionalmente molto più fragile dell'uomo e con quegli sbalzi ormonali mensili che trasformano il delicato essere in un droide lancia missili stile Dart Fener trilogy? 
Sulla questione comunismo poi, dovremmo aprire una querelle infinita. Così com'è, il mondo ha delle affinità con il comunismo più per contrappasso che per analogia. I problemi sorgono già sulla questione ciclo-alimentare. Prendiamo per esempio l'accoppiata leone-gazzella. Chi mangia chi? E con quali diritti? Manca del tutto un sindacato per gli erbivori & affini. Se poi vogliamo andare per il sottile, appurato che anche il regno vegetale parla, comunica e interagisce attraverso impulsi chimici, come facciamo a decapitare insensibilmente un cespo di insalata ben sapendo che tutta l'aiuola starà rappresentando in quel momento #l'Urlo di Munch?
Insomma, credo dovrà trascorrere ancora qualche migliaio d'anni prima di iniziare a comprendere qualcosa di questo sofisticato meccanismo cosmico che ci appare molte volte imperfetto e ingiusto.
Però, però... fatemi pensare. Un dio comunista? Se guardo ai risultati delle sinistre al governo, un piccolo dubbio mi sovviene. E se fosse proprio vero? Magari s'è già sparsa la voce perché, mentre a sinistra stanno a discutere come sempre sul sesso degli angeli, le destre liberiste si sono già organizzate e sembra vada per la maggiore acquistare su internet l'assoluzione dei peccati, per garantirsi un buon posto nell'aldilà, con la partecipazione eterna agli utili aziendali. 

Hai detto niente! Taxa Camerae docet. 

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lunedì 27 maggio 2013

NATURALMENTE NON POSSIAMO PAGARTI

Chi ha detto che il lavoro non c'è? 
Il lavoro c'è. Senza stipendio, ma c'è. 
Questo tipo di offerta si riscontra particolarmente nella fascia "creativa" della società e si riferisce a quel genere di umanità svagata e ciondolante che avendo ricevuto in dono una particolare predisposizione alla danza, alla musica, al disegno o più genericamente alle arti, all'armonia e al bello pensa di poterlo esercitare non per puro diletto, ma in cambio di un compenso. Che volgarità!
Capita a volte di venir contattati da qualche Ente per sviluppare progetti interessanti e molto impegnativi. In cambio si prospetta l'onore di vedere il proprio nome stampato sul frontespizio di una pubblicazione, con molti complimenti e una visibilità prestigiosa che vale più del vile denaro.
Altre volte sono aziende del privato che richiedono un lavoretto piccolo, una cosa da niente... "Avrei potuto farmelo io, ma ora non ho tempo". E siccome sono dei maghi del settore hanno già fatto una stima dei tempi e dei costi: "Con Photoshop ci impieghi cinque minuti".
Poi il tuo preventivo (che hai reso in linea con l'indice mibtel e quindi ribassato sulla base del decennio prima), viene comparato alla ditta Tal dei Tali che scarica invece i costi d'impresa sul turnover dei collaboratori stagisti a costo zero e quindi lo fa per un terzo, anzi, la progettazione è gratis.
Se poi il progetto è stato accettato, prodotto ed usufruito nei tempi previsti  rimane viva la questione del saldo a 30/60/90/120 giorni.... Continuare a inviare solleciti oltre l'ottavo mese non è bon ton: è considerato segno di arroganza. Ma niente allarmismi, nel caso siate recidivi, il problema viene prontamente risolto dall'efficiente categoria delle segretarie-filtro. 



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martedì 21 maggio 2013

PROCEDERE IN ORDINE SPARSO

Discuto spesso con la mia metà e di solito l'argomento è la mia (apparente) disorganizzazione. Queste discussioni sono paragonabili a un otto orizzontale -  ∞  - che forse non a caso è anche il simbolo del mio segno astrologico. In geometria descrittiva viene così enunciato: "Due rette parallele hanno un punto in comune, il loro punto all'infinito". Quelle due rette siamo noi. 

Si disquisisce su tutto pacatamente, anche su come lavare i piatti e pure questo assume risvolti filosofici, secondo i nostri punti di vista. Lui ne fa una rappresentazione analitica della produzione: una visione contro ogni spreco di tempo secondo la teoria dello spillo di #Adam Smith, perché se le regole ci sono significa che servono a qualcosa.
Io la vedo invece come #Ugo Nespolo: "Ripetere è una forma di staticità e di morte". Cucino e lavo i piatti disponendo le stoviglie in posizioni aerodinamiche sorprendenti, fino al closing-up finale, dove tutto assume una logica assoluta e indiscutibile in perfetto razionalismo Looseriano. In pratica raggiungiamo lo stesso obiettivo, nel frattempo però la mia eccentrica performance mi ha divertito, favorendo diversi nuovi spunti sullo sviluppo delle prossime creazioni... 


Morale: tu te lo puoi permettere, perché sei una free-lance. Vero. Ma, a parte la serie infinita di svantaggi che comporta essere un free-lance, non sono molto convinta che la società basata sulla suddivisione del tempo/lavoro e dei consumi abbia prodotto questo gran esempio di civiltà del benessere. Ce n'è a ufo per parlarne in un prossimo post. 


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TRE ETTI E DIECI DI CAVALLETTE, SIGNO': CHE FACCIO, LASCIO?

- A quanto le locuste oggi, Nando?  
- 2 euro al chilo signora! Abbiamo anche le cicale in offerta... E guardi i bruchi signò, stanno 'na bellezza! 
Il menu, neanche tanto impossibile è alle porte. Vitello e costine alla griglia consumano e inquinano uno sproposito, meglio un "sugo allo scoglio" di insetti a chilometro zero. Vuoi mettere la praticità? Mi basterebbe uscire in terrazzo al primo sole: c'è una costiera amalfitana di locuste marroncine stese in fila, come i lettini in riviera. Dovrei solo vincere il mio ribrezzo iniziale e un certo sospetto da parte loro, poi sarebbe come andare a raccogliere fragole. Probabilmente il cambiamento climatico è in atto, inutile fare gli struzzi, solo vent'anni fa trovare una locusta in giardino era occasionale, ora si muovono a sciami inquietanti frrrr. Chi è genitore poi, istruito dai cartoni giapponesi del figlio maschio, ha maturato una certa avversione per la specie: come non ricordare Cell vs Omega Shenron, la locusta-gigante-aspira-midollo di Goku Super Sayan & Company? Meglio sbatterla in padella in tenera età, non si sa mai.

Il futuro insomma è di Lepidotteri Coleotteri e compagnia volante.  Personalmente il sapore non mi convince tanto, ma si fa l'abitudine a tutto. Quando ho assaggiato Bogong e serpenti nel deserto australiano non li ho trovati terribili. Il sapore di quelle larve gialline e grassottelle era un po' acidulo, ma il serpente era equivalente all'anguilla di Comacchio. Certo erano cotti e tagliati a pezzi, ed eravamo sotto un emisfero stellato che stordiva tutti i sensi... Ma di che mi stupisco? Il valore nutritivo è altissimo, il contenuto di Omega 3 è pari a quello del pesce - con buona pace di Master Chef e della Fao - già una parte del mondo si è convertita per necessità. Quindi avanti con la frittura mista di vespe, termiti e scarafaggi... 
'Bon Appétit'! 

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lunedì 13 maggio 2013

IL FATTORE ALPHA. Hegel, mia nonna e mia suocera.

Cosa fa la differenza?
Perchè una ragazza di 24 anni raggiunge un successo internazionale nell'area del Design e una moltitudine di suoi coetanei altrettanto bravi, alcuni forse di più, annaspano nella confusa marea grigia dell'umanità comune? Appurato che non è la figlia di Cotanto Padre, nè la raccomandata del Tal Altro Padrino, cosa fa la differenza?
Si deve cercare a monte, la risposta? Nel tipo di educazione familiare o nei geni, o nel fatto di aver incontrato lungo la strada una figura resiliente, o in tutte queste figure insieme? La casualità favorisce solo qualcuno o - come dice Hegel - dobbiamo noi stessi convertire la convenienza che la natura ha fine a se stessa in convenienza per noi umani? E perché questo avviene solo per pochi? Perché solo alcuni trovano la forza e la motivazione e cosa fa scattare questo processo? Se le stesse condizioni fossero applicate ai "perdenti" anch'essi riuscirebbero là dove hanno fallito? Domande, domande...
C'è poi la jattura delle ABITUDINI. Rassicuranti certo, ma sono come una droga.
Facciamo un esempio.
L'imprinting lo acquisisci nei primi anni, l'epigenetica invece è una schedina della lotteria che ti arriva in eredità.
L'imprinting lo associo a mia nonna, la famosa Venexiana. Sbrigativa, altera, poche parole essenziali, tracciava la strada con l'esempio. Non attendeva gratificazioni, se le costruiva: "Sòn 'na bea fémena. Me lo digo mi-mi sola". La questione ce-la-farò? non si poneva neppure, alla peggio ci avrebbe riprovato mille volte. Consapevole del fatto che ogni concorrente da affrontare era infine un suo pari: 72.8% di acqua e il 45% di abitudini (da cambiare all'occorrenza, per il raggiungimento dell'obiettivo). L'abitudine: lo zoccolo duro da affrontare. Anche la più innocua abitudine è una forma di comodo. Gesti automatici e scelte scontate diventano routine, la ripetizione crea dipendenza e il gioco è fatto. Ogni scusa sarà buona per non tentare più nulla. Tutte le forme di potere umano (e cosmico) applicano questo giochetto: alimentazione, sesso, tendenze, rapporti sociali... osservare le abitudini delle persone è più efficace dell'uso delle armi, per gestire forme di controllo remoto. Ma guarda un po'... pensi di fare qualcosa solo perché ti va e invece...
L'altro punto è il GRATTA & VINCI.
Non bastava la natura, nota per elargire talenti, prestanza e bellezza o scarsa attitudine a casaccio, ci mancava - voilà - l'epigenetica! Potrò anche avere nei geni la stessa abilità di un altro, ma non la stessa forma adattativa. Il fatto è che l'ambiente e i comportamenti (maggiore o minore stress, difficoltà economiche, violenze o conflitti) sono in grado di produrre una segnatura in positivo o in negativo e l'epigenoma, una volta formato, può essere trasmesso transgenerazionalmente dai nostri genitori o nonni. Una specie di déjà vu, a volte penalizzante altre no.
I favoriti infatti, ereditano il fattore Alpha. Ma io lo chiamo il Fattore Mia Suocera. Un misto di autostima positiva, energia rinnovabile, determinazione incrollabile e grande ironia. Che sia ereditario l'ho potuto riscontrare personalmente, ne sono dotati tutti i suoi fratelli, sorelle, figli e qualche nipote. Quel certo quid che la ragazza in questione ha certamente ricevuto in eredità dai genitori e che le ha fatto sperimentare le scelte più corrette, convertendo in positivo anche gli eventuali intralci di percorso. In generale, quindi, sono molte le variabili che ci permettono di raggiungere l'obiettivo e sarebbe opportuno segnarle con un appunto mentale per trovare aiuto nei momenti peggiori.
Oltre a questo c'è un altro dettaglio non trascurabile nella vita di ognuno, che è determinato molto spesso dalla casualità e non è spiegabile razionalmente, ma è la risultante multipla di fattori positivi. Quasi tutti noi però lo riconosciamo con il suo vero nome. Un gran culo


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giovedì 2 maggio 2013

LA MUTANDA ECO-CHIC

La mutanda si cambia ogni quattro giorni, arieggiandola ogni tanto.
Dopo i precisi dettami di ordine ecologico forniti due settimane fa dall'ex ministro dell'ambiente, mi sono sentita più tranquilla. Da tempo ero in uno stato di disagio, dal giorno in cui, esasperata da una dermatite alla caviglia, ho deciso di recarmi da una specialista - e che fosse la migliore.
Una specie di #Frau Blucher (il Lupo Ululì) la quale, anche lei, in quattro e quattr'otto ha diagnosticato la potente cura risolutiva. "Non si lavi!"
Insensibile al mio sguardo attònito, volto al soffitto in segno di chiarimento divino, indifferente alla mia frequentazione di palestre ha ribadito imperturbabile: Non-Si-Lavi-Proprio!
Si manifestava frattanto l'ologramma di mia nonna paterna, la Venexiana, l'igienista patentata pluridecorata dirt-catcher, quella che se non stavi attento ti sbiancava con una mano di calce viva appena oltrepassavi la soglia di casa. Dall'alto l'ologramma della
Venexiana sovrapponeva gli indici a croce verso l'incauta dottoressa e nel  contempo mi redarguiva: " Va fòra, scampa via sùbito!"
Sono uscita onorando la parcella e senza la soddisfazione di conoscere che gran pezzo di gram-positivo stesse banchettando sulla mia caviglia.

Che fare? Come aggiungere ancora stelle alla mia gloriosa fama di oculata consumatrice (cragnina, secondo mia sorella) la quale, già da bambina, mi aveva alle costole per spegnere luci, chiudere rubinetti e sigillare i vasetti di Nutella che si smaterializzavano pericolosamente al solo suo sguardo?
Ora due forze avverse si contrastano in me. Calimero sbiancatutto da una parte, Pig-Pen e la sua nube mefitica dall'altra. Resistere con le mutande di quattro giorni o contribuire colposamente al disastro ecologico? Ma è proprio convinto Clini,
#clini #ambiente che le sue 2 docce quotidiane per mantenersi igienizzato non pareggino il conto con il dispendio idrico di un bucato settimanale di mutande? O che basti stenderle all'aria tra un'abluzione e l'altra?
Tempo fa ho sentito un professore affermare che al giorno d'oggi siamo talmente assuefatti ai profumi chimici da percepire i nostri stessi odori come qualcosa di sgradevole. Verità. (Parziale). Certo anche i nostri odori sono chimica e trasmettono segnali ben precisi tutt'intorno, ma in quanto a percepirli soavi... non so. E se lo fossero, chissà perché qualcuno si è preso la briga di imitare le fragranze dei fiori e chiuderle in boccetta? Nel dubbio, lo confesso, sto contravvenendo al nobile fine e continuo a strigliarmi come un cavallo (e tenermi la maledetta dermatite). 


COSA NE PENSI TU? 

Forza, dai un contributo attivo! Aiuta i nostri illuminati ministri a trovare la soluzione più adatta e partecipa al Sondaggio sull'Eco-mutanda qui a destra. 

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lunedì 29 aprile 2013

I MIGLIOR ANNI

Era stanco di sprecare i migliori anni della sua vita.
Al compimento dei trentatrè ha mollato la sua occupazione (non di turnista siderurgico, ma di giornalista, comunque inchiodato 12 ore davanti a un computer), ha affittato il suo bilocale in città - eredità della nonna - e si è cercato due stanzette e un po' di orto in un posto sperduto vicino al mare, dove poter vivere con molto meno. Ha deciso di cogliere l'attimo, smentire la famosa frase di George Bertrand Shaw "Si spreca la gioventù dandola ai giovani" e godersi la pensione subito. Ha detto che a lavorare ci tornerà verso i 50, quando avrà accumulato esperienze, aria e sole in abbondanza e vorrà sedersi tranquillo dietro a una scrivania. La giovinezza non aspetta.
Verrebbe da dire: chi non lo farebbe, avendo un tesoretto di m3 da affittare? Magari si, forse anche no. Non è garantito che ritroverai un lavoro a cinquant'anni. Ma non è neppure garantito che lo troverai adesso. O che arriverai a 50 anni.
Quante volte capita di fantasticare di mollare tutto? Difficile da applicare ma non impossibile. Ciò che rende complicato fare questo passo è che siamo tutti addomesticati. La libertà che cerchiamo è quella di poterci esprimere, essere noi stessi. Ma la maggior parte delle volte agiamo per essere accettati, per compiacere. Questa è la fine che ha fatto la nostra libertà. Più forte della paura di rischiare, di volare e anche di non poter tornare. 


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sabato 20 aprile 2013

COMODI, COMODI...

State comodi, c'è tutto il tempo.
C'è un sacco di spazio qui. A pensare positivo, abbiamo tempo da qui all'eternità per riempirlo di cose interessanti o anche meno interessanti, dipende.
Dipende da che?
Da come ci si sveglia la mattina, da quanti soldi circolano nelle tasche, se ti hanno pagato, se non ti hanno pagato, se hai quattro idee geniali delle quali almeno una realizzabile a medio termine, o se piove, o se c'è il sole, se stai bene e quindi ti avanza tempo per gioire o lamentarti di altro, il superfluo, quello che non vedi quando stai bene e hai la pancia piena.

Sì, il vero lusso non è avere tempo ma pensare di averlo.
Perché infatti, se abbiamo tutti una scadenza come un vasetto di Yogurt è anche vero che non la conosciamo quella scadenza, perciò, io che sono una visionaria (nel mio caso dire ottimista mi sembra una contraddizione in termini) io che sono una visionaria dunque, posso vivere all'infinito senza che nessuno possa dire il contrario.
Sotto che forma, non mi interessa. Anzi, vista la curiosità irrefrenabile direi che è un viaggio interessante, quello che ci aspetta tutti quanti.

Perciò vi dico: state comodi, arriveremo dappertutto, in qualche forma.
Vogliamo parlare di viaggi? Ci racconteremo le novità.
Un minimo di cultura... politica? Cercheremo di capirne qualcosa.
Vogliamo parlare di cibo, ristoranti, diete, grassi, colesterolo e palestra? Mamma mia, non si parla d'altro, ma faremo anche questo.
Di adolescenti in crisi, di crisi del lavoro, ce n'è, ce n'è.

Quindi state comodi, mi schiarisco appena poco poco le idee, poi ne parliamo.

PD in cenere per AUTOCOMBUSTIONE.

GAME-OVER
GAME-OVER.

Ve l'avevo, detto, ve l'avevo detto. Lacrime di coccodrillo alla mia sinistra. Non la conoscessi... sono nata, svezzata, cresciuta in mezzo a questo mare di lacrime. Per fortuna quella parte dell'emiciclo non manca di autoironia, perché farebbe ridere, se non facesse piangere.
Mi sto sempre più convincendo che la perpetua disfatta della sinistra sia da imputarsi proprio a una certa dose di sentimentalismo congenito. Ho avuto in famiglia soggetti ostinatamente legati ad un livello di purezza ideologica assoluta e inattaccabile che si sono auto-estinti. Ho respirato fin da bambina il loro rifiuto a qualsiasi compromesso, ponte o apertura verso il libero mercato e la proprietà privata e, in nome dell'egualitarimo economico, hanno soppresso e bruciato il loro spiccato spirito imprenditoriale, i loro talenti e la loro genialità. Per questo ho sempre sostenuto il pensiero di una sinistra aperta al dialogo, alla trasformazione e all'investimento come mezzo produttivo. Ma l'establishment pone continue barriere e non risponde a questo modello. Continuano a parlare con specifici gruppi politici interni e non alla restante area sociale. Dove sarebbero i chiari segni di rinnovamento?

Sono contraria alle forme di monopolio e di speculazione, ma è cosa buona e giusta aprirsi al dialogo. Una volta tanto, io che mi metto sempre con il carro degli ultimi, dei perdenti e degli oppressi, voglio togliermi ogni struggimento ideologico dalle tasche e voglio un po' più di razionalità.
Non importa se il nuovo ci pone dei dubbi, anzi è bene che i dubbi ci rimangano sempre. Ma voglio una rappresentanza lontana dall'apparato storico, tollerante al dialogo, vigile e specchiata come dovrebbe essere ogni persona onesta. 
Solo così avrà ancora la mia fiducia. 

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giovedì 18 aprile 2013

PROGRAMMATI per ROMPERSI

Tempo fa ho comprato una stampante.
Una stampantina, in verità, memore della iper-mega-super-stampante acquistata qualche anno fa e portatrice sana di rogne. Il prezzo di acquisto della piccoletta equivaleva a quello di una cartuccia e, fatto il debito rapporto costo-durata della precedente, ho pensato "vabbè non c'è alternativa". Anche se questa stampantina chissà dove l'avranno assemblata, piccole mani di bimbo in età da scuola materna magari. Fatto sta che mi serviva urgentemente e l'ho presa. E' durata neanche 11 mesi. Sono andata a reclamare, chiedendo la riparazione. Risposta: "hahaha, non esiste un tecnico preposto, ne compri una nuova, le costa un terzo". Naturalmente ogni sei mesi le cartucce cambiano, perciò scordiamoci di ammortizzare quelle che avevo di scorta. Piccola soddisfazione: le posso buttare (nuove) nell'area riciclo.
Stessa cosa per la mia lavatrice elettronica da 11Kg., Classe A+++ a risparmio energetico e centrifuga spaziale che si blocca esattamente ogni due minuti: devi armarti di bolla e chiave inglese con cui riposizionare i piedini in assetto perpendicolare perfetto. Altrimenti devi sostituire la scheda interna con quella di stra-ultima generazione, alla quale hanno dato una tolleranza maggiore, ma... guarda che peccato, la garanzia è scaduta un mese fa! Non se ne viene fuori. Prodotti che ci lasciano allo scadere dei due anni. E' l'economia, mi dicono, è la logica del mercato.
Tecnologia a termine, obsoleta in partenza. Ma quanto costa all'ambiente? Perché non c'è un pezzo di ricambio? Così potrebbe trovare occupazione un giovane tecnico. Certo le multinazionali avrebbero finito di esistere e di sfruttare bambini. Forse con tagli di altre occupazioni. Ma senza regredire all'età del baratto, non c'è una via di mezzo? Io credo di sì, al di là dell'insano egoismo personale che si riscontra ovunque e in ogni categoria, casta o non casta. Decrescita "felice"? Non esistono cambiamenti indolori.
Sulla DECRESCITA siamo già messi da Dio.
"FELICE"... ci stiamo lavorando. 

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