lunedì 26 settembre 2016

FUORI SEMBRAVA MEGLIO

Un paio di mesi fa ho deciso di fare un esperimento.
Ho rovistato tra le agende dove quotidianamente raccolgo i pensieri, le impressioni, e dove annoto le trascrizioni di dialoghi che ascolto mentre faccio la coda al supermercato, in banca o in quasiasi altro posto. Poi ho raccolto otto brevi narrazioni le ho collegate tra di loro e infine impaginate. 

Il risultato è stato un libretto di centodieci pagine, satiriche e liberatorie (per me) nate in un momento assai difficile della mia vita. Ho pensato che - a quasi cinquantacinque anni - potevo cominciare a fregarmene (un po') di quello che avrebbe pensato "la gente" se avessi deciso di pubblicarlo, a cominciare dal fatto che lo avrei pubblicato self-publishing e stampato on-demand, senza nessun impegno da parte mia di investimenti in denaro che non ho, senza vincoli contrattuali, senza pretese di finta gloria, senza alcuna aspettativa di profitti. 
Beh, è andata. È filato via tutto facilmente, senza l'ausilio di editor, controllo refusi e altri servizi professionali. Tutto self-made, con qualche vantaggio tecnico data la mia professione, ma del resto è un esperimento, un certo margine di errore può entrarci senza scandalo.

La promozione è stata ugualmente divertente: progettare le locandine e i volantini per me anziché per un cliente è stato spassoso e motivante. Soprattutto schiaffarmi in copertina pressata all'interno di uno scatolone aperto. Sì, perché un titolo come quello in alto richiama decisamente una posizione scomoda. 
Mi sono sentita un po' Pantera Rosa a girare per la città affollata di grandi personaggi della narrativa (durante Pordenonelegge) ad attaccare locandine con aria da cospiratrice, ma come dicevo all'inizio chissenefrega: a un certo punto bisogna buttare dietro le spalle quella certa educazione imbacchettata se questa ti impedisce di fare qualsiasi cosa, a partire dalle cose minime, quelle che non recano danno proprio a nessuno e che invece sono sempre lì pronte a censurare ogni parte di te, anche quelle più belle.
E dunque, proprio nel momento in cui mi sentivo rilassata e alleggerita dall'ingombrante peso etico-morale, passo a salutare mia mamma come faccio sempre e scopro che anche lei sta leggendo il mio libretto. Lo vedo infatti in bella mostra sul tavolo del salotto. 
L'ha ordinato da sola, senza dirmi niente, e oggi mi squadra con due occhi tondi da civetta: 

- Hai scritto "Fanc*lo Str*nzo a pagina diciannove!


L'ha detto proprio così, censurato con gli asterischi. Non mi dà nemmeno il tempo di ribattere.


- E anche "C*zzo" in altre due o tre pagine!


Spero che non sia ancora arrivata al capitolo "Coito da sballo" mentre tento di giustificare l'uso dello straniamento nel linguaggio letterario, ma lei ha frequentato il collegio delle Elisabettine e in casa nostra lo sproloquio è vietatissimo da sempre (come in tutte le famiglie normali, dice) anche se normali non lo siamo mai stati, visto che mio padre mi preparava allo studio del Capitale di Marx e del libretto rosso di Mao Tse-tung con verifica finale già all'età di otto anni. - Non c'entra - dice lei.


E' vero, l'oscenità, la blasfemia e il turpiloquio non fanno parte del mio quotidiano. Ma essendo, noi in famiglia, lettori amanti dei classici non posso fare a meno di ricordarle il sommo Dante e la Divina Commedia dove compare una certa "Sozza e scapigliata Taide, puttana... che là si graffia con le unghie merdose" o sempre nell'Inferno, il verso "Ed elli avea del cul fatto trombetta" e anche Pietro Aretino "Fottiamoci, anima mia, fottiamoci presto" e qui mi fermo, eludendo i passi peggiori.


Approfitto del suo temporaneo disorientamento per rassicurarla che non sono ancora sulla via della perdizione, ma che si tratta di racconti (quelli miei) che portano in superficie la sfera dell'inconscio: sai quella roba là, quella che i professori chiamano il flusso di coscienza. O almeno è stato un tentativo. Perché vedi mamma, io quando ascolto, ascolto davvero, guardo le facce, studio i gesti, sembro svagata ma intanto analizzo il non-verbale, e nella testa di ognuno scappa a volte, o spesso un "Fanc*lo Str*nzo" e un C*zzo" e quindi lo trascrivo. Mi guarda sospettosa, ma tace, e prima che io aggiunga qualcos'altro su Tommaso Stigliani e il suo poema "Merdeide" si avvia in cucina e mi chiede tranquillamente: 

- Senti, lo prendi un tè? 

Per chi desidera approfondire la mia esperienza self-publishing legga qui
Per chi vuole leggere un estratto del mio libretto, qui.